130 anni di storia della BCC “Toniolo e San Michele”, una frontiera di modernizzazione del territorio

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Una storia importante della Banca più antica del territorio nisseno, la BCC “Giuseppe Toniolo” di San Cataldo, intrecciata negli ultimi anni con quella della BCC “San Michele” di Caltanissetta, due istituzioni economiche che non sono soltanto sede di servizi finanziari, ma hanno accompagnato la storia del riscatto faticoso e complesso del mondo del lavoro autonomo, della società degli artigiani e degli agricoltori, attraverso tre secoli, dagli ultimi decenni dell’800 fino ai nostri giorni, quando la Banca “Toniolo e S. Michele” di San Cataldo è diventata il più importante istituto di credito cooperativo del Sud Italia.

Una vera eccellenza economica del nostro territorio, che ha le sue radici nella stagione in cui, alla fine del XIX secolo, dopo il grande movimento dei Fasci Siciliani, dal mondo cattolico di base maturò una risposta concreta alternativa al sistema dei poteri che dominavano la società di quel tempo.

L’accesso al credito era negato agli agricoltori, agli artigiani, a chi non dava garanzie certe di solvibilità, ai quali non rimaneva altro che rivolgersi agli usurai, che anticipavano le sementi, esigendo a fine raccolto quote di interessi impossibili, fino al 50%, che soffocavano nella miseria le famiglie di chi viveva del proprio lavoro, condannate ad una condizione di povertà perenne, senza speranza.

Non era soltanto povertà economica, era anche sottomissione politica ai gabellotti usurai, affittuari dei latifondi, che controllavano il territorio, imponendo con la violenza il loro “ordine” nelle campagne e che spesso erano i quadri intermedi della criminalità mafiosa, il volto del potere che teneva in pugno le loro vite.

Il pensiero sociale cristiano, in quella fine dell’800, andava elaborando una visione progressiva dei rapporti sociali, fondata sull’autonomia personale e sulla piccola proprietà, di cui il massimo teorico in Italia era Giuseppe Toniolo, sociologo economista veneto. Con don Luigi Cerutti, sull’esempio tedesco, si mise in campo uno strumento concreto: le Casse Rurali cattoliche, istituti di credito costruiti con i depositi dei risparmiatori (depositi anche di mezza lira) che prestavano ai lavoratori autonomi i soldi necessari ad organizzare la propria attività, con interessi sostenibili e una deontologia nelle relazioni economiche che dai valori cristiani riceveva l’impostazione non speculativa, ma attenta alle necessità delle persone alle quali dava fiducia sulla base del proprio lavoro.

Dopo il Veneto, la Sicilia di Sturzo diventa il campo della sperimentazione della nuova esperienza. Nell’ottobre del 1895, 130 anni fa, a San Cataldo veniva fondata, alla presenza di Don Cerutti, la Cassa Rurale.

Per anni gli storici hanno discusso se fosse la prima o la terza in Sicilia (le lacune nelle fonti dell’epoca non certificano con precisione), sicuramente la prima nella diocesi di Caltanissetta, che già durante i Fasci dei Lavoratori era emersa all’attenzione nazionale per la Lettera che il Vescovo mons. Guttadauro aveva rivolto ai parroci nell’ottobre del 1893, con una analisi acuta delle ingiustizie che segnavano il mondo del lavoro contadino e delle responsabilità dei proprietari e dei gabelloti, proponendo di mediare tra le parti per condizioni di lavoro più dignitose e sopratutto per contrastare l’usura “manifesta o palliata” come aveva scritto.

Due anni prima Leone XIII aveva pubblicato l’enciclica Rerum Novarum, che aveva segnato una svolta nel pensiero e nel magistero della Chiesa cattolica, affrontando la questione operaia e il rispetto della dignità dei lavoratori, proponendosi come alternativa sia all’individualismo del capitalismo liberale sia allo spirito rivoluzionario socialista.

Nell’ultimo decennio dell’800 l’Italia viveva una crisi sociale e morale senza precedenti. Lo scandalo della Banca Romana, nel 1893, avrebbe fatto emergere un verminaio di corruzione che coinvolgeva i vertici dello Stato, e che in Sicilia aveva un epicentro significativo. Il direttore del Banco di Sicilia, Emanuele Notarbartolo, che si era opposto alle infiltrazione di capitali mafiosi, venne assassinato in quell’anno su mandato dell’on. Palizzolo. Il primo dei “delitti eccellenti” della mafia siciliana riguardava appunto un contesto economico in cui gli interessi dei poteri forti non volevano cedere alla trasparenza e al rispetto della legalità.

Contemporaneamente però stava crescendo in Sicilia un tessuto associativo cattolico sempre più consistente, che aveva una delle sue punte più avanzate proprio nel territorio della diocesi nissena.

Il 14 (o 15) ottobre del 1895, alla presenza di don Luigi Cerruti, l’apostolo delle Casse Rurali italiane, veniva firmato l’atto costitutivo della Cassa rurale di San Cataldo, nello studio del notaio Fascianella, alla presenza di Alberto Vassallo, futuro vescovo di Monaco di Baviera, uno dei giovani sacerdoti “leoniani” impegnati a costruire una presenza organizzata nella società del territorio per mettere in pratica i principi della Rerum Novarum e iniziare un’opera di liberazione del mondo del lavoro autonomo che avrebbe scosso dalle fondamenta la società ancora feudale della Sicilia interna.

La Sicilia diventò in pochi anni, insieme al Veneto, la regione italiana con il maggior numero di Casse Rurali, incrinando anche politicamente la supremazia dei notabili liberali che non avevano mai voluto e saputo affrontare la questione meridionale, relegando la Sicilia ad un rapporto subalterno con lo Stato, che in quegli stessi anni Luigi Sturzo stigmatizzava con il suo pensiero sull’autonomia delle regioni e degli enti locali, che riportava sul territorio il campo della trasformazione sociale e del governo politico.

Fu proprio don Luigi Sturzo, nel 1902, a volere organizzare a Caltanissetta la prima assemblea dei consiglieri comunali e provinciali cattolici di tutta la Sicilia, e volle che si svolgesse nel salone dell’altra Cassa Rurale che oggi fa parte del gruppo “Toniolo e San Michele”, la Banca Aurora (poi Cassa Rurale e Artigiana S. Michele), nella sua sede nissena nel palazzo Calefati Canalotti, dove ancora oggi si trova un’agenzia.

Da quella assemblea di amministratori locali emerse la linea politica autonomista del movimento cattolico siciliano, (che by-passava il non expedit vaticano che impediva ai cattolici di votare alle elezioni politiche e consentiva il voto soltanto per gli enti locali) e sopratutto emerse l’idea della necessità di dare vita ad un vero e proprio partito politico dei cattolici, autonomo dalle consorterie liberali, che si sarebbe potuto realizzare soltanto nel 1919 con la fondazione del Partito Popolare Italiano.

Emerge così il legame originario e profondo tra l’esperienza economica delle nostre Casse Rurali e le dinamiche più avanzate della trasformazione sociale e politica che andavano maturando in una Sicilia che si scopre non così irrimediabilmente immobile e arretrata come gli stereotipi storiografici l’hanno descritta, ma una Sicilia che vedeva l’orizzonte della modernità e si misurava con la capacità di costruire risposte concrete alle esigenze di un’economia liberata dalla cappa del feudalesimo e della mafia.

130 anni di storia consegnano questa eredità importante alla nostra contemporaneità, in un contesto non meno difficile, in cui la frontiera dell’economia e della finanza è ancora presidiata dai poteri criminali, e in cui le Banche di Credito Cooperativo resistono all’omologazione che i grandi colossi finanziari vorrebbero imporre, costruendo ancora sul legame autentico con il territorio ed i soggetti produttivi la fiducia che sta alla base dell’attività del credito.

Una fiducia e una capacità di relazione con le persone, le famiglie, le imprese e le loro esigenze, che non ha impedito alla banca di sviluppare profitti e di prosperare, fino a diventare il gruppo più importante del Mezzogiorno, senza abbandonare il proprio territorio nè le spegnere le sue speranze di futuro.

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