L’originale è l’originale. La copia falsa non può essere l’originale. Penso alla strana e curiosa vicenda di Giuda nella sua relazione con il suo maestro Gesù di Nazareth.
Perché Giuda si suicida e si toglie la vita? Ne parla lo scrittore Giuseppe Berto nel suo bellissimo libro “La gloria”. Un romanzo dove Berto restituisce dignità e umanità a Giuda, soggetto fragile, reo di avere commesso solamente un atto di debolezza umana: il peccato inconfessabile di desiderare il tradimento dell’altro numinoso, il figlio di Dio, l’uomo misterioso che è venuto sulla terra per salvare l’intera umanità.
Se da un lato Giuda sente una spropositata ammirazione nei confronti del suo maestro e desidera raggiungere anche lui la gloria dei cieli, la gloria del figlio nel padre celeste, dall’altro lato, e paradossalmente, Giuda sente invidia, odio e un evidente complesso di inferiorità nei confronti del suo Rabbi!
Ne consegue che lo tradisce e lo vende alle autorità politiche e religiose per trenta vili denari. L’angoscia lo attraversa, lo travolge e si impicca all’albero di Giudea (l’albero di Siliquastro).
Il discepolo prova un sentimento ambivalente nei confronti del suo maestro che lo imprigiona e lo fa soffrire, causando in lui una profonda angoscia. Giuda, nella sua indubbia solitudine, decide di sbarazzarsi di Gesù, provando un inevitabile senso di colpa e si uccide. Forse Giuda pensava: non riesco ad essere come te, mio adorato Rabbi, quindi ti faccio arrestare e ti elimino dalla mia vita.
In altri termini, la rappresentazione metaforica e simbolica di un complesso di inferiorità e di rivalità, quello provato dal discepolo nei confronti del maestro. Come accade spesso nella dialettica conflittuale tra i figli e i padri. E si impicca all’albero della vita, all’albero della conoscenza, perché non è stato capace di essere sé stesso, tradendo e svelando la propria umanità insicura e fragile.
Nella nostra vita abbiamo avuto tanti maestri e nei diversi contesti vissuti della nostra esperienza. Si potrebbe pensare: forse, l’uomo maturo e responsabile di sé non deve guardare altrove, diventando maestro di sé stesso!
In fondo, esiste un maestro interiore che ci guida e ci consiglia circa le decisioni del desiderio. Anche sant’Agostino parlava dello Spirito Santo come il maestro interiore: “Ti sarà maestro solo colui che è il Maestro interiore dell’uomo interiore, il quale nella tua mente ti mostra che è vero ciò che viene insegnato (Lettera 266)”. E si riferiva a Dio, vero ed unico maestro interiore per lui: “In interiore homine habitat veritas”.
Ai giovani discepoli bisogna indicare la strada dell’autonomia, dopo avere imparato dal proprio maestro, come il giovane Adso da Melk, l’allievo del frate francescano inglese Guglielmo da Baskerville, nel romanzo “Il nome della rosa” di Umberto Eco.
Diversamente dal padre della psicoanalisi Sigmund Freud, che litigò con il suo giovane collega Carl Gustav Jung per divergenze teoriche e cliniche, uno dei maître à penser della psicoanalisi Jacques Lacan diceva ai suoi allievi: “Fate come me ma non siate come me!”.
Il vero maestro, nella ricerca delle verità, libera il suo discepolo dal vincolo filiale dell’imitazione e dell’obbedienza, desiderando per il giovane apprendista il suo bene, la sua libertà di crescere e di ricercare le sue singolari verità. Lo stesso fa un vero padre con il proprio figlio, lo lascia andare e gli dice: “vai e vola nella tua vita”.
È l’antichissimo insegnamento socratico che aiuta l’allievo a partorire le proprie verità che non sono quelle del maestro, il metodo socratico dell’emancipazione e dell’indipendenza del discepolo dal maestro.
Un monito etico di Socrate che ci può tornare utile quale insegnamento per la democrazia: coltivare il desiderio della libertà e di una ricerca personale che non ha fine (Karl R. Popper, “La società aperta e i suoi nemici”), in un momento storico dominato dalle autocrazie e dalle loro pulsioni illiberali!
prof. Tonino Calà


