Area vasta da attrezzare di infrastrutture e servizi e coesione da ricostruire su un territorio eterogeno per vocazioni economiche e dinamiche sociali: la elezione del nuovo Presidente della Provincia, dopo la nebbia dei commissariamenti e il limbo decennale che ha annichilito le istituzioni intermedie, ha queste due priorità, fondamentali per rilanciare la civiltà di un territorio sempre più deprivato di servizi e desertificato dall’emigrazione.
Invece in queste settimane la politica sta riducendo la questione a semplice conflitto di nomenklature, di centro-destra e di centro-sinistra, lanciando più o meno ufficialmente candidature contrapposte, il sindaco di Caltanissetta Walter Tesauro per il centro-destra, con la benedizione inevitabile dell’on. Mancuso, e il sindaco di Gela Terenziano Di Stefano per la galassia dell’opposizione, PD, 5 Stelle e Civici variegati.
Si ripropone così il dualismo di territori che negli ultimi decenni si sono contrapposti sterilmente, divaricando sempre più le proprie prospettive, arrivando all’estrema lacerazione, da parte di Gela, della richiesta di costituirsi provincia autonoma o, in subordine, di aderire alla provincia metropolitana di Catania. La città di Caltanissetta, di contro, ha da tempo rinunciato ad esercitare una seria funzione di capoluogo, di riferimento per i comuni dell’hinterland, in termini di servizi integrati e di progetti di sviluppo condivisi.
Non si può by-passare questa questione se si vuole partire col piede giusto e rilanciare una istituzione intermedia che ha il compito prioritario di costruire una rete integrata di infrastrutture (strade e scuole innanzitutto) e servizi (trasporti pubblici, turismo) che sostenga un’identità coesa del territorio, riconoscibile, attrattiva di investimenti, spendendo con intelligenza le risorse che ci sono, e sono ingenti, per ricucire, non per lottizzare, la presenza della istituzione sul territorio.
A questo compito bisogna dedicare un grande lavoro, e tanto tempo, non pensiamo che possa essere svolto dal sindaco di una delle città più grandi del territorio, Gela o Caltanissetta, che, ammesso che sia adeguato, se fa bene il suo lavoro è già totalmente assorbito dall’amministrazione della propria città.
Senza contare che scegliere uno dei due sindaci proposti polarizzerebbe inevitabilmente verso uno dei due poli territoriali risorse, interventi e la percezione stessa del governo, squilibrando ulteriormente il tessuto sociale della provincia in una serie di micro-conflitti campanilistici ulteriormente laceranti.
Se ci fosse la politica a guidare questo processo si sarebbero innanzitutto indicate le priorità di un progetto di sviluppo, concreto e a medio termine, su cui aggregare schieramenti e candidature. Anche andando oltre gli schieramenti precostituiti e inevitabilmente divisivi, sparigliando le carte di una politica sempre più burocratizzata ed ingessata dalle logiche di appartenenza.
Ci vorrebbe una scossa efficace alla routine delle nostre amministrazioni locali, e una personalità creativa, da scegliere non per la fedeltà e l’obbedienza ai poteri sovraordinati, ma per la capacità innovativa di gestione della cosa pubblica, per l’attitudine al dialogo, alla costruzione di legami efficaci, sociali e istituzionali.
Il nuovo Presidente di una provincia come quella di Caltanissetta, desertificata e a rischio di estinzione sociale, non può essere la bandierina di un partito, di un notabile, di un movimento o di uno schieramento. Deve essere un Sindaco (perché questo prescrive la legge) anche di un piccolo Comune (e ce ne sono di validi), ma con la capacità e l’autorevolezza, già dimostrata, di saper amministrare con onestà e con creatività, di saper immaginare cose nuove e tradurle in fatti concreti, di vivere la responsabilità di chi governa un territorio con un’alta tensione morale, rispondendo ai cittadini con l’operare, e garantendo a tutti i Comuni del territorio equilibrio, imparzialità e coinvolgimento.
La regola del voto ponderato, che dà più peso al voto dei consiglieri comunali delle città più popolose, non può essere l’alibi o la trappola per una soluzione facile e scontata. Il compito della politica dovrebbe essere quello di governare le dinamiche con i contenuti, le alleanze sulle priorità, sapendo che il compito del governo non si riduce nel delegare agli eletti, (più obbedienti possibile) la funzione essenziale di trasformare la realtà utilizzando le competenze e le risorse delle istituzioni, ma si fonda sull’attivazione di processi collettivi, che muovono e aggregano la società, che animano movimenti popolari e società civile per la soluzione dei problemi più pesanti.
Il governo è uno strumento della democrazia, guardando e parlando fuori dai Palazzi, non può essere un’operazione di aritmetica del potere locale fine a se stessa.