“Questa Città resterà per sempre nel mio cuore e nella mia vita”, le parole della nuova concittadina
Non era mai successo, negli ultimi 50 anni, di vedere l’Aula del Consiglio comunale di Caltanissetta, gremita anche di cittadini, sommergere di applausi da standing ovation una nuova cittadina nissena. E’ successo questa sera, 29 maggio, quando i Consiglieri comunali hanno votato, all’unanimità, il conferimento della cittadinanza onoraria a Maria Grazia Vagliasindi, magistrata, Presidente della Corte d’Appello, con un entusiasmo travolgente e una condivisione totale.
Un caso unico di autentica empatia tra cittadini e istituzioni, che intorno alla prima donna Cittadina onoraria di Caltanissetta ha regalato un respiro di speranza collettiva nella possibilità che le “autorità” possano riuscire a rappresentare le qualità migliori della società civile, un esempio per tutti, una guida riconosciuta e rispettata.
Caltanissetta, la “Città delle donne” non ha avuto molti padri nella sua storia ormai millenaria. Ha avuto negli ultimi secoli alcune madri, figure femminili che si sono prese cura della città e dei suoi cittadini, spesso anche senza che essi ne siano stati consapevoli. Da Luisa Moncada a Letizia Colajanni, da Elvira Mancuso a, oggi, Maria Grazia Vagliasindi, magistrata di eccellenza, che a Caltanissetta ha iniziato e concluso la sua brillante testimonianza professionale e civile, in ultimo da Presidente della Corte d’Appello, con unanime riconoscimento del suo valore e apprezzamento della sua personalità.
Mai come in questo caso l’operato dell’istituzione cittadina è stato in sintonia con il sentire comune, con una rappresentatività non soltanto formale né scontata.
La storia di una donna che ha saputo testimoniare con l’impegno di una intera esistenza la capacità di esprimere il valore della giustizia, fino ai massimi vertici di una istituzione che fino al 1963 è stata preclusa alle donne, è la dimostrazione indiscutibile di come nel XX secolo l’unica rivoluzione vincente sia stata quella non violenta delle donne, sostenuta dalle loro capacità, dalla profondità nello studio, dalla tenacia con cui hanno sfidato i luoghi comuni e i pregiudizi patriarcali, dallo sguardo di cura con cui hanno esercitato la responsabilità sociale, dall’equilibrio con cui governano, non comandano, le comunità che sono a loro affidate.
La storia della Presidente Vagliasindi racconta questa rivoluzione, e la racconta soprattutto nei frutti del suo lavoro di magistrata, impegnata in prima linea in processi complessi alla criminalità mafiosa più feroce, come il processo per la strage in cui è stato ucciso il giudice Chinnici, o il processo a Cosa Nostra catanese di Nitto Santapaola, scrivendo sentenze che hanno fatto giurisprudenza e sono state pubblicate sulle riviste scientifiche del diritto.
Ma non sono state soltanto le aule di giustizia i luoghi della cura sapiente della società che la Presidente ha saputo tessere in tutte le giornate del suo impegno. Sono state le scuole, il rapporto con gli studenti, la promozione della cultura della legalità mai separata dal valore autentico della Giustizia, le attività culturali e tutte le istituzioni della città alle quali ha sempre offerto generosamente la sua disponibilità e la sua riflessione, manifestando sempre apprezzamento per questo territorio e i suoi talenti, ammirazione affettuosa, incoraggiamento autorevole, anche di fronte all’apatia indifferente che spesso questa città sembra esprimere come cifra antropologica identitaria, che invece lei nel suo discorso di ringraziamento ha definito “Una Città luminosa e straordinariamente di cultura ad onta di una dormienza apparente segnata dall’aridità del territorio“.
Non secondario il suo impegno per la “casa della giustizia” nissena, il Palazzo che ha voluto tenacemente completato dopo decenni di paralisi e soprattutto non deprivato della Corte d’Appello, per il cui mantenimento a Caltanissetta ha spesso tutta la sua autorevole influenza in tutte le sedi.
La città ha riconosciuto il valore prezioso del suo impegno, il suo volere “uscire dal Palazzo” per testimoniare la Giustizia come fonte di riscatto sociale, ben oltre la legalità formale, ma il radicamento profondo e vissuto nei valori costituzionali che rendono il nostro Paese democratico e inclusivo, e l’ha abbracciata con affetto sincero, come raramente sa concedere ai suoi figli, tenendo insieme in questo abbraccio la stima e l’ammirazione per il suo elevatissimo magistero giuridico e l’affidamento fiducioso alla sua assertività regale e umile, al suo saper prendersi cura del bene comune, compiendo sempre, fino in fondo, il proprio dovere.



