Una giornata da operetta, con la Città che ruota intorno a un “principe” pop prendendosi troppo sul serio

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L’hanno preso davvero troppo sul serio, Emanuele Filiberto di Savoia, in visita a Caltanissetta su iniziativa degli Ordini Dinastici di casa Savoia, e ricevuto in pompa magna in Municipio dal Sindaco con la Giunta e il Presidente del Consiglio comunale, con firma sul libro d’onore delle personalità ospiti della Città, e poi un pomeriggio di incontri e di omaggi, persino quello della dirigenza della Nissa che ha partecipato al suo incontro in un albergo cittadino.

Indubbiamente Emanuele Filiberto di Savoia (niente Sua Altezza Reale, i titoli nobiliari sono stati aboliti dalla nostra Costituzione) è un esponente abbastanza noto del mondo dello spettacolo: vincitore di una edizione di Ballando con le stelle, un secondo posto al Festival di Sanremo, partecipazioni a L’Isola dei Famosi e altre amenità. Imperversa, in concomitanza con le sue vicende sentimentali, sulle copertine dei rotocalchi più popolari, è fotogenico, si presenta bene, con un’aria gentile. Tutto qui.

Con la Storia di Casa Savoia e il suo ruolo nefasto nella storia italiana il nostro Paese ha fatto i conti definitivamente, da tempo: le responsabilità nell’avvento del fascismo, l’acquiescenza a tutti gli atti della dittatura, dal delitto Matteotti alle leggi razziste del 1938, l’alleanza con Hitler e il massacro del nostro esercito nella seconda guerra mondiale, la fuga ignominiosa da Roma lasciata in mano ai nazisti e tanto altro.

Il giovane Emanuele Filiberto non era nato a quei tempi e non gli si possono imputare responsabilità personali, ma rendergli omaggio in quanto esponente della sua dinastia, al di là del garbo istituzionale nei confronti di un ospite celebre (non illustre) della Città è un errore di grammatica istituzionale, in contrasto clamoroso con la Costituzione e anche di cattivo gusto, diciamo un po’ cafonal.

La nostra città si declassa così ulteriormente anche sul piano della correttezza e dell’eleganza istituzionale, presentandosi come un paese di provincia che si accontenta dei selfie con qualche VIP o presunto tale, dimenticando disinvoltamente la memoria di centinaia di suoi figli mandati a morire dalle guerre dei Savoia, schiacciati sotto le bombe del ’43, deportati nei lager nazisti, perseguitati o combattenti coraggiosi della Resistenza e della Liberazione.

È la logica dell’”evento” che ormai ha connotato la fisionomia e l’azione amministrativa di chi governa la città, ai vari livelli: la visibilità, in qualsiasi modo, come antidoto drogato all’eutanasia economica e all’insignificanza sociale. La visibilità per poter dire di “esserci”, di esistere, di contare.

Lo spettacolo della visibilità, che ormai da tempo ha sostituito la rappresentanza con la rappresentazione, è la strada preferita delle demokrature dei nostri giorni. La più facile, la più popolare, la più letale per la democrazia

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