San Michele prima del 1625

Francesco Daniele Miceli
4 Min Leggere


Archivi, palii e fiere: il culto dell’Arcangelo era già vivo settant’anni prima della peste
Le storie hanno sempre un inizio. Ma non sempre coincide con quello che ricordiamo. Nella
memoria di Caltanissetta tutto sembra partire dal 1625: l’apparizione di San Michele Arcangelo a
fra Francesco Giarratana, l’angelo che respinge un appestato alle porte della città e la salva
dal
contagio. Da lì, San Michele divenne il patrono e il protettore dei nisseni.
Eppure questa storia ha un “prima” che pochi conoscono. A svelarcelo è la professoressa Rosanna
Zaffuto Rovello,
che tra manoscritti e atti notarili ha riportato alla luce documenti dimenticati. Nel
1550, settant’anni prima dell’episodio della peste, il notaio Giglio registrava la celebrazione di una
novena in onore dell’Arcangelo. Non solo: nel 1566 i giurati della città organizzarono un palio in
suo onore.

Quel palio non si correva in periferia, ma nel cuore stesso di Caltanissetta: dalla piazza principale
fino alla “cantonera del Colleggio”,
lungo un percorso che attraversava il centro cittadino. In
premio, un drappo ricamato che finiva nelle mani del cavaliere vincitore. Non era una corsa di
quartieri come a Siena, ma una competizione tra nobili che affidavano i loro cavalli a giovani
corridori.

E poi c’era la fiera. Già dal Trecento la città si animava a fine settembre, quando i contadini,
concluso il raccolto e venduto il grano, si incontravano per acquistare attrezzi agricoli, stoffe e

utensili. Nel 1613 i documenti parlano chiaro: quella era ormai la fiera di San Michele, che si
svolgeva nel centro città, lungo lo stesso percorso del palio.
Diversa invece la fiera di maggio, che
aveva il suo teatro davanti alla chiesa di Santa Croce, fino alla discesa degli “scarpara”
(l’attuale via
Paolo Emiliani Giudici).
E quando nel 1625 San Michele apparve a fra Francesco Giarratana, la città era già pronta ad
accoglierlo come patrono.
L’Arcangelo respinse l’appestato proprio presso una delle porte cittadine,
collocata dalle mappe antiche dove oggi si trova la fontana di viale Regina Margherita. Quella
soglia non era solo un ingresso urbano: fu il confine tra la vita e la morte, tra la peste e la salvezza.
Fra Francesco, il cappuccino protagonista della visione, era già venerato dai suoi contemporanei. Da
bambino aveva accarezzato un leone fuggito dal recinto dei Moncada accanto alla chiesa di San
Sebastiano, ammansendolo come fosse un animale domestico. Uomo di fede e di miracoli, alla sua
morte i frati lo seppellirono in un sepolcro distinto, oggi perduto.
Così, nel 1625, quando la peste infuriava in Sicilia, Caltanissetta non scoprì San Michele: lo
riconobbe. Perché già da decenni l’Arcangelo faceva parte della sua identità, tra palii, novene e
fiere. Il miracolo non fu un inizio, ma un sigillo.

Ed ancora oggi, dopo secoli, l’angelo biondo continua a vegliare sulla città. A proteggerla. Ad
ascoltarne le preghiere. A diventare parte stessa dell’anima di Caltanissetta. Tanto che nel parlato
quotidiano, chissà da quanti secoli ormai, davanti a un volto luminoso, si sente dire con orgoglio
antico: “Si biddu comu San Micheli!”.

foto di Fabrizio Crapanzano

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