Con “Tutti gli uomini del Presidente” ha interpretato l’essenza del giornalismo autentico

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Robert Redford ha rappresentato sullo schermo tanti uomini onesti e coraggiosi alla ricerca della verità o del senso della vita, erede della migliore tradizione democratica degli intellettuali americani.

Noi vogliamo ricordarlo come il giornalista di “Tutti gli uomini del Presidente”, il film in cui, in coppia con Dustin Hoffman, ha raccontato la pagina più illustre del giornalismo del ‘900, quel “caso Watergate” in cui due giornalisti del Washington Post Woodward e Bernstein con le loro inchieste nel 1974 portarono alle dimissioni il presidente degli Stati Uniti Richard Nixon.

Due giornalisti contro l’uomo più potente del mondo, la verità contro il potere, e il coraggio di raccontare e documentare la verità, tutta la verità, senza compromessi o mezze misure.

Nella società della comunicazione sono l’icona della contemporaneità, attualissima oggi ancora più che nel 1976 del film, oggi che l’informazione è sempre più contaminata, manipolata, addomesticata o minacciata dal potere, nelle metropoli e in provincia, sulle grandi dinamiche dei poteri forti come sui piccoli teatrini degli interessi locali.

Robert Redford ha rappresentato questa idea, di coerenza tra la vita quotidiana e i valori in cui si crede, senza la retorica degli eroi dei western perché sempre accompagnato dal dubbio, dal senso del limite delle proprie azioni, dalla gentilezza di chi rispetta sempre l’altro, l’altra, con l’ironia di chi si mette in discussione.

Un cavaliere della verità, delle libertà democratiche, della coscienza civile, che ha sostenuto il sogno di chi ha trovato nei suoi personaggi un esempio positivo e accessibile, sui cui passi, se lo vogliamo, tutti possiamo camminare

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