IL Reportage del lunedì. Il Gattopardismo sconfitto

Lillo Ariosto
Lillo Ariosto 401 Views
7 Min Leggere

Una nuova rubrica del CaffèQuotidiano.online: Il Reportage del lunedì, ad accompagnare l’autunno, la stagione delle passeggiate vissute con distensione, come itinerari della mente che riannodano i fili di una riflessione libera, sull’esca delle analogie e delle metafore.

Autore il nostro Avvocato Lillo Ariosto, penna affilata e intelligenza critica dei nostri costumi, una “voce di dentro” della nostra società, testimone lucido capace di affondare lo sguardo nella storia e nel futuro, senza perdere mai l’equilibrio british e il distacco sciasciano dagli eventi su cui riflette, apparentemente con levità.

Buona lettura!

“Mai dire mai” è il titolo italiano di un film della vecchia saga di James Bond. Ci viene in mente, chissà perché, quando leggiamo dell’apertura a Caltanissetta di una nuova libreria firmata Mondadori, il più esteso network di librerie in Italia. Il nuovo bookstore cittadino ospiterà presentazioni di libri, laboratori creativi per bambini, gruppi di lettura, promuovendo collaborazioni con scuole, biblioteche e associazioni culturali del territorio. Tutto molto bello in un momento in cui la crisi dell’editoria italiana è caratterizzata da un pauroso calo delle vendite. Vedremo cosa succederà.

Lasciamo passare i clamori della inaugurazione e in un anonimo pomeriggio di metà settimana andiamo a fare visita al nuovo punto vendita. Conosciamo il posto sino a qualche tempo prima occupato da altro marchio librario (ecco da dove nasce “Mai dire mai”). Siamo curiosi delle proposte nuove ma soprattutto classiche per non dire vecchie. Sulla scansia riservata ai titoli datati incrociamo “Il Gattopardo”.

E’ il libro a cui siamo legati. Da sempre. Pensiamo alla recente scomparsa di “Angelica”/Claudia Cardinale. Con la sua indubbia avvenenza e sensualità ha saputo dare vita al personaggio su cui don Fabrizio Salina, protagonista del capolavoro di Tomasi di Lampedusa, posa gli occhi per indurla in sposa a Tancredi pupillo-nipote-suo alter ego viaggiatore nel tempo.

Di Tancredi “Se vogliamo che tutto rimanga come è bisogna che tutto cambi”, battuta che ha dato vita al “gattopardismo”. Il termine è diventato simbolo di trasformismo nella storia d’Italia ma soprattutto in quella dell’Isola in cui siamo stati chiamati a vivere. Rileggiamo ogni estate il romanzo e ogni volta scopriamo qualcosa di nuovo, di diverso.

Recentemente abbiamo intrapreso una nostra personale revisione del concetto di “gattopardismo”. Abbiamo sempre avuto l’idea che nel Gattopardo questo concetto trovi il suo trionfo. Questa particolare chiave di lettura – forse – ci è comoda per autoassolverci dalle nostre storiche inadempienze e non ci pone in scomodo contrasto con la pessima realtà politico-sociale che ci circonda.

Come diceva Sciascia “Il grande difetto dei siciliani è la voluta consapevolezza che le idee non possono cambiare il mondo”. E’ così che “La storia siciliana è tutta una storia di sconfitte. Sconfitte nella ragione, nella libertà e nella giustizia”. Difficile poi smentire quest’ultima parte alla luce di recenti pronunce.

Da tutto questo l’atavico scetticismo e da qui anche, a ben riflettere, la paradossale sconfitta del “gattopardismo”. Tancredi ne è il primo sconfitto. Il matrimonio con Angelica è di per sé una sconfitta. E’ costretto a sposare una non nobile. La figlia di chi prenderà il comando nel nuovo Regno. Regno in cui Tancredi/Ambasciatore sarà comunque un servo. Il suo è un successo apparante per la falsità del legame con Angelica e per la dipendenza dal suo denaro da cui deriva la sua (sterile) affermazione.

Tancredi e il “gattopardismo” che rappresenta ne escono sconfitti, anche nella residua funzione di amministrare l’ordine nuovo. Dal matrimonio con Angelica il suo rango non ne ricava reale beneficio. Gran parte della nobiltà sarà costretta ad imparentarsi con i figli e i nipoti dei loro antichi subalterni.

Nel romanzo è alla fine che si può scorgere la sconfitta del “gattopardismo”, dal momento che la “furbata” non genera alcun frutto. Chi vince realmente è “quel cornuto di Garibaldi”. Vince il rappresentante della violenza e della protervia mascherata dalla nuova economia borghese, portatrice dell’idea di necessario indiscriminato profitto, in sostituzione della raffinatezza paternalistico-aristocratica di cui Tancredi vorrebbe essere perpetuatore.

Tancredi subisce (non governa) il cambio di emblema. Dal baldanzoso leone danzante è obbligato a transitare nello spoglio scudo crociato savoiardo.

L’unico che dall’inizio comprende tutto, in quel maggio del 1860, è proprio don Fabrizio, allorché dopo la celebre battuta del nipote, consegna a Tancredi un piccolo capitale economico nella consapevolezza che da lì in poi il vile denaro (e non il rango) sarà l’unità di misura del prestigio e dell’autorevolezza.

Il principe di Salina solo per la contingenza del momento non contraddice l’escamotage del nipote che pensa di potere governare il passaggio dai Borbone al “Re galantuomo”. Don Fabrizio comprende, percependone la ineluttabilità, che quell’idea si infrangerà contro il lento ma progressivo declino dell’aristocrazia che dovrà arrendersi alla borghesia nel ruolo di classe dominante.

Sul letto di morte don Fabrizio ne ha conferma. “Lui stesso aveva detto che i Salina sarebbero sempre rimasti i Salina” ma vedendosi sull’ultima sponda della vita si accorge che “Aveva avuto torto. L’ultimo era lui. Quel Garibaldi, quel barbuto Vulcano aveva dopo tutto vinto”.

La conferma è nella triste sorte dell’imbalsamato cane Bendicò, fatto volare giù dalle scale dopo la fine di Concetta, l’ultima dei Salina, eterna innamorata delusa di un Tancredi, come si è visto, bollato e sconfitto.

Quello che ci è giunto sino a noi dopo la seconda guerra mondiale è il risultato di un altro cambio di casacca e di un altro insuccesso. E’ il trionfo del “dopo”. Anche questo ben rappresentato dal discorso con cui don Fabrizio rifiuta il seggio da senatore del Regno d’Italia. “Dopo sarà diverso, ma peggiore. Noi fummo i Gattopardi, i Leoni; quelli che ci sostituiranno saranno gli sciacalletti, le iene”.

Ancora una volta. Niente di nuovo sotto il sole.

Condividi Questo Articolo