Gli Angeli sulla città

Francesco Daniele Miceli
5 Min Leggere

A Caltanissetta quando si dice che “una persona è agli Angeli” non è mai un buon augurio: vuol dire che si trova, o presto andrà, al cimitero. Un modo di dire che rivela quanto gli angeli siano di casa qui: non solo nei cieli e nei racconti sacri, ma anche nei modi di parlare, negli spazi quotidiani, persino nell’ironia nissena.

Ed è proprio vero: la città è letteralmente popolata di angeli. Dalle statue in marmo agli stucchi delle chiese, dai dipinti secolari alle vare della Settimana Santa, fino ai nomi di vie, scuole e quartieri. Figure alate che accompagnano la vita e la morte, il sacro e il profano, sospese tra fede e leggenda.

Tutto parte da un’immagine: un quadro antichissimo, oggi custodito dalle suore del Collegio di Maria, ma che un tempo abitava la chiesa di Santa Maria La Vetere, in origine dedicata all’Assunta. Era un dipinto così bello e venerato che finì per cambiare il destino di quel luogo: la chiesa venne ribattezzata Santa Maria degli Angeli. Da quell’opera scaturì un fiume di nomi e memorie: la chiesa (oggi chiusa al culto, ma dichiarata monumento nazionale già nel 1902), il cimitero adiacente, la strada, la scuola – ufficialmente “Vittorio Veneto”, ma da tutti chiamata semplicemente “Angeli” – e infine l’intero quartiere.  E poi intendendo il cimitero monumentale, anch’esso colmo di statue, di putti, di presenze silenziose.

Tra queste spicca l’angelo della tomba Testasecca, scolpito nel 1894 da Tripisciano: elegante, malinconico, custode d’eterno riposo.

Ma basta varcare la soglia della Cattedrale per ritrovarsi ancora in compagnia di angeli. Ce ne sono in stucco, arrampicati alle arcate, con le bocche spalancate come in un canto; e ce ne sono dipinti da Borremans, soprattutto sulla volta, dove sembrano librarsi in cieli di colore. Quest’anno l’artista Seme ha aggiunto nuove presenze: angeli maschi e femmine, nudi e velati, che fluttuano come portati dal vento sopra la “capanna della natività”. Primo fra tutti, però, resta San Michele, l’Arcangelo protettore della città, affiancato da Gabriele e Raffaele (o secondo altri, da Michele e Gabriele), scolpiti nel marmo da Vincenzo Vitagliano.

E ancora, un altro angelo si mostra nel Museo Tripisciano di Palazzo Moncada: dolce, con una croce in mano e una corona di fiori tra i capelli, opera delicatissima dello stesso Tripisciano.

Angeli si incontrano anche lungo le processioni: nelle vare del Giovedì Santo, creati dai Biangardi padre e figlio, dalle ali sfumate e le vesti chiare, simili a figure da presepe napoletano. C’è l’angelo consolatore dell’Orto con il calice amaro, l’angelo dell’Urna che consola l’umanità, circondato da putti, e quello dell’antica Addolorata, non più sulla Vara ma oggi accogliente al Seminario. Persino nelle miniature del Mercoledì Santo, le varicedde, fanno la loro comparsa gli angeli del Capizzi, piccoli e incantevoli.

C’è, poi, un angelo che appartiene più alla leggenda che alla storia: quello della vara della “Scinnenza”. Si racconta che un tempo sormontasse la vara, ma in realtà non esistette mai. Una leggenda metropolitana, nata chissà dove e quando. Ma c’erano cinque angeli che, 150 anni fa, accompagnavano il Nazareno della Domenica delle Palme, riutilizzati dalla vecchia vara dell’Urna prima che i Biangardi costruissero la nuova.

E a proposito dei Biangardi, ancora due angeli sorvegliano la città dalla centralissima chiesa di San Sebastiano, in piazza, accanto ai santi Pietro, Paolo e Sebastiano: figure solenni che guardano dall’alto la vita di tutti i giorni. Nella chiesa di San Giuseppe gli angeli portano in alto la Madonna Assunta, in un volo che sembra infinito.

Caltanissetta è davvero una città piena angeli. Li troviamo nelle chiese, nei musei, nei cimiteri, ma anche nei nomi delle strade e nelle frasi di ogni giorno. Figure munite di ali che hanno dato speranza e conforto, ponte tra la vita e la morte, tra la fede e la quotidianità.

Perché qui, lo spazio del sacro non resta chiuso nei templi, ma scende lungo le strade, accompagna la vita e la memoria.

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