Vittima, colpevole, del suo pentimento. Monito perpetuo della misera condizione umana.
Qualche anno addietro, leggendo una graziosa opera editoriale di un amico-collega, venuto a mancare da qualche anno, riferita a Giuda Iscariota, l’apostolo traditore, ci colpì un epigramma: “Meglio pochi lettori silenti ai molti falsi chiassosi osannanti”. Conclusa la lettura, ritenemmo di confonderci tra i “silenti”, meditando sulla solitudine dello sventurato apostolo protagonista della vicenda descritta dall’Autore.
Rispettando la narrazione evangelica di Matteo, Marco, Luca e Giovanni ci avventurammo in una riflessione certamente influenzata dal garantismo che abbiamo sposato prestando quarant’anni addietro il giuramento iniziale all’esercizio della professione forense. Premettiamo che professiamo la religione dei nostri Padri convintamente, senza rinunciare però alla ragione, amministrando una personale visione “laica” delle interpretazioni dei testi sacri. In una visione dialettica ma non antagonista rispetto alle verità ufficiali dei fatti biblici, abbiamo sempre ritenuto di confinare all’interno del contesto dell’epoca quella tragedia umana, dove un dominio militare assoluto dell’antica Roma e un altrettanto potere incondizionato dei Sacerdoti (messo in discussione proprio dalla venuta di Cristo) non possono rimanere estranei alle cronache coeve al protagonista Giuda.
Il cattivo apostolo, nella miseria della realtà umana rimane un personaggio unico, solo, abbandonato, isolato nella propria esegesi, dal momento che i co-protagonisti a lui contemporanei – in quella contingenza temporale – sono fermamente ancorati alle loro convinzioni, siano essi gli alti comandi militari, siano essi le elevate caste religiose. Sono loro che al “contesto” danno sicurezza e certezza.
Elementi totalmente sconosciuti ed estranei all’apostolo traditore così come lo sono – per opposto verso – al moderno lettore degli eventi che – oggi – stenta ad allontanarsi dalla ortodossa lettura dei fatti “conforme alle norme”. Nessuno conosce l’altra interpretazione che proviene dall’Iscariota, un soggetto che per definizione non appare legittimato e quindi non meritevole di riconoscimento, dovendo scontare la colpa (non da lui forse realmente voluta) concretante la condizione necessaria per la storia che da oltre duemila anni costituisce fondamento di fede per milioni di credenti.
Giuda potrebbe avere preso atto dell’esistenza del male ma – alla stregua di un antesignano “Candido” di Voltaire – tenta di ritrarne il meno possibile, suggerendo – con il successivo suo suicidio – di guardare il mondo con lo sforzo disperato dell’eroe (rectuis dell’antieroe) patetico, inserendo una autonoma – ma di per sé arbitraria – visione indulgente.
È come se inconsciamente consapevole della colpa che per necessità divina su di lui deve gravare, ogni rappresentazione della ingiustizia, dell’illecito, del danno e comunque di ogni pregiudizio conservi – nel più remoto angolo – un qualcosa di equo, di necessario, di ineluttabile, forse di più umano (e quindi ontologicamente fallace) che ne giustifica la esistenza, secondo il paradigma del necessario e del non evitabile, dando luogo quindi ad un suo singolare ottimismo sulla (sempre) possibile redenzione, con il conseguente perdono redibitorio.
Ma di questa – personale – visione pochi, se non nessuno, ne condividono la percezione e la valutazione, lasciando quindi solo il povero protagonista destinato – ancora una volta per deliberato divino – a indurre alla disperazione tutti i suoi simili, con la sua eterna immagine penosa e crudele di unica e sola fonte di tutte le calamità da cui nemmeno egli è immune.
In fondo la ontologicamente dannata condizione umana costringe l’uomo Giuda a essere oggetto di un mix che mescola tragedia e commedia, accompagnato dai normali mali del mondo, permettendo a “Giuda/Candido” di semplificare filosofie e riflessioni, finendo con deridere l’ottimismo dei “buoni” che pare non vogliano accorgersi dei fatti orribili della realtà che li circonda, primo fra tutti il “principio del capro espiatorio”.
In ultimo l’uomo Giuda per paradosso dei giorni odierni appare come l’unico pentito che non godrà di alcun beneficio derivato dal suo riconoscimento di colpa (a differenza dei contemporanei ravveduti-collaboratori di giustizia), scontando la massima pena, quella capitale, per ulteriore paradosso eseguita per stessa sua mano.
