Il Reportage del lunedì. Un luogo dalle storie nascoste

Lillo Ariosto
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Reportage su una residenza caltanissettese poco conosciuta: Palazzo Caglià-Guittard.

Nel primo autentico freddo pomeriggio di autunno percorriamo il corso intestato al re savoiardo sotto cui venne unita l’Italia. Il cielo è grigio. Una leggera umidità mista a un lieve pulviscolo di pioggia ci accompagna. Raggiungiamo sul piano del convento in Santa Croce alla Badia una delle più antiche botteghe di passement (passamaneria) per sartoria, un tempo prezioso nècessaire per decorare e rifinire capi di abbigliamento.

In città sino a qualche decennio addietro regnava una grande tradizione sartoriale che nelle botteghe della dinastia de “l’Americano” trovavano prezioso appoggio. Ancora oggi il nostro amico Cosimo (Lorina), ultimo erede de l’Amèricain, si muove dietro il grande bancone del suo emporio con l’antica maestria instillatagli dai suoi avi, consigliando vecchi e nuovi clienti nella scelta di bordure, lane, filati di ogni genere, antichi battitacco e indispensabili scarparelle.

Ci accoglie sorridente, come sempre, facendoci accomodare nell’angolo della sua bottega divenuto l’ultimo cenacolo culturale del centro storico. Qui, come in una sorta di sicano Caffè Greco, si possono incontrare lo storico locale, l’autore dell’ultimo saggio sull’arte religiosa, il cultore delle tradizioni minerarie, il maestro della pasticceria siciliana, il cuisiner ultimo conoscitore dell’arte culinaria del territorio, tutti accomunati dall’aria volutamente anonima, apparentemente distratta, non curanti del loro prezioso sapere, superstite tesoro di una città che sembra voglia ostinarsi a dimenticare sé stessa.

Siamo lì per chiedere notizie su un edificio che pare abbia visto in epoca pre-risorgimentale indicibili (al tempo) riunioni settarie con tanto di tuniche religiose in uno a toghe e tonache secolari, se non profane. Il palazzo è quello della famiglia Caglià-Guettard (o Guittard).

L’originale costruzione pare risalga alla prima metà del Settecento, conseguenza di un accorpamento di precedenti costruzioni, sfociato nella seconda metà di quel secolo nella prima vera realizzazione di un edificio, cui seguirà nei primi anni dell’Ottocento la esecuzione della facciata sull’attuale corso Vittorio Emanuele.

In piena locale tradizione sotterranea, se non da segreta spy story, tra le sue mura venne ospitato lord William Bentinck, ambasciatore e comandante delle forze britanniche in Sicilia, durante il “decennio inglese”, quando oltre diciottomila soldati di Her Majesty Giorgio III furono di stanza sull’Isola in funzione antinapoleonica. In quel momento Ferdinando IV di Borbone, spodestato da Gioacchino Murat, dal Regno di Napoli, è costretto a riparare a Palermo. Il plenipotenziario Bentinck lo costringe ad abdicare temporaneamente in favore del figlio Francesco I. Questi dovrà promulgare l’importante Costituzione Anglo-Siciliana del 1812. Con essa viene abolito il feudalesimo sull’Isola e realizzata la riforma amministrativa-territoriale con la creazione delle sette valli tra cui quella di Caltanissetta.

Che l’artefice della riforma costituzionale, al tempo, tra le più moderne e democratiche di Europa, venisse ospitato a palazzo Caglià Guittard non fu un caso. La famiglia Guittard professava sin da allora il sogno di una Italia unita e libera, senza dire che i Caglià risultavano tra le famiglie firmatarie della petizione del 1754 diretta al re Carlo III per la restituzione della città al regio demanio, sottraendola al potere feudale dei Moncada.

Uno dei massimi esponenti della famiglia, il cavaliere Antonio Caglià Guittard, sarà poi consigliere comunale nel nuovo Regno d’Italia, assessore, membro del consiglio provinciale scolastico. A lui si deve l’istituzione della Scuola di Tipografia dell’Istituto dell’Ospizio di Beneficenza Umberto I che ha darà vita alla grande tradizione editoriale ancora oggi presente a Caltanissetta.

Durante il suo soggiorno a palazzo Caglià Guittard, Bentinck stringe rapporti con le più importanti famiglie di Caltanissetta, per assicurarsene l’appoggio con lo scopo di rafforzare il controllo inglese sulla provincia più industrializzata dell’epoca, stante i preziosi giacimenti di zolfo, che saranno poi controllati dalla Anglo-Sicilian Sulphur Company.

La missione di Bentinck in Sicilia non è solo quella di fronteggiare il pericoloso dominio napoleonico in Italia ma anche quella di fare leva sui sentimenti liberali e sulle aspirazioni all’indipendenza nazionale diffusi soprattutto nella borghesia e fra gli intellettuali per scongiurare il pericolo di una Europa unita sotto l’egida del pericoloso condottiero partorito in Corsica.

L’altro mandato è quello di costringere Ferdinando IV a cacciare la moglie Maria Carolina (facente parte di una loggia massonica di sole donne), figlia dell’imperatore d’Austria che tenta di svincolare la corona borbonica dall’influenza inglese, favorendone quella della Russia degli Zar.

Come si può vedere la (ex)capitale dello zolfo, alla insaputa dei più, in quel momento è sede di uno dei più grandi intrighi internazionali dell’epoca. Lo storico Mulè Bertolo, un secolo dopo, commentando la venuta di lord William Bentinck in città, scriverà “… non si farebbe opera vana, se questa notizia si affidasse a una lapide marmorea”.

Lapide naturalmente mai apposta.

Continuiamo la visita al palazzo, accompagnati dal nostro amico, introducendoci in quello che oggi si mostra come l’ingresso principale, una volta forse baglio per le carrozze padronali. Saliamo le alquanto comode rampe di scale e immaginiamo il via vai che doveva animare la vita dell’edificio. Maestranze, fornitori, servitù, stallieri al servizio della dinastia proprietaria. Di quella vita perduta rimangono i ballatoi, in epoca più recente abitati anche da personalità caltanissettesi che hanno contribuito a fare una parte di storia.

Sempre all’insaputa dei più.

Apprendiamo che in uno degli appartamenti con i soffitti ancora artisticamente decorati si tennero lunghe e accese discussioni fra le varie anime del ceto politico siciliano uscito all’indomani della seconda guerra mondiale, per la redazione di alcuni articoli dello Statuto della Regione Siciliana del 1946, con cui venne concessa l’autonomia speciale alla Sicilia. Quell’appartamento era di proprietà dell’avvocato Spadaro, vicino a Giuseppe Alessi, primo presidente della Regione. Fu nella stanza oggi dalla nuova proprietà chiamata “dei Tritoni” che venne alla luce gran parte l’autonomia siciliana a conferma che la città che abitiamo si rivela luogo di origine di tante storie sconosciute se non segrete, genesi di vicende più grandi e importanti di tante altre dai molti conclamate.

In altro appartamento negli anni Cinquanta sino alla soglia degli anni Ottanta del secolo scorso conduceva il proprio laboratorio di analisi il dottore Lo Presti, compagno di scuola di Leonardo Sciascia e coniuge della nipote dello scrittore Luigi Russo, Diega Lo Presti Russo, poetessa fine e sensibile le cui opere verranno pubblicate in una raccolta oggi rara. Ma l’arte dello scrivere a palazzo Caglià-Guittard non finisce qui.

Uno dei piani del palazzo oggi è di proprietà Di Maria. Amiamo pensare che lì un altro scrittore, in altra ala del palazzo, abbia scritto le sue opere. Uno dei molti autori caltanissettesi poco conosciuti o dimenticati. Si tratta di Nino Di Maria, dimessamente celebre per il suo romanzo Cuori negli abissi ispirato a un fatto vero (contadini siciliani trovati congelati mentre attraversavano la frontiera con la Francia). Pietro Germi che aveva conosciuto del tragico episodio durante le riprese di Fuga in Francia lesse il romanzo mentre si trovava in Sicilia, visitando il latifondo nisseno per il film In nome della legge, acquistandone i diritti per trarne l’altra opera cinematografica Il cammino della speranza del 1950, alla cui sceneggiatura collaborò lo stesso Di Maria insieme niente meno che a Federico Fellini. Altra importante opera di Di Maria a carattere satirico è La mafia ha ammazzato Napoleone mentre alcune sue commedie sono state rappresentate in Francia.

Al suo nome sono intitolate le scuole primarie e secondarie di primo grado a Sommatino.

Riscendiamo le scale del palazzo soffermandoci a constatare le alterazioni che nel tempo sono state apportate. Segni della ignoranza storica e delle contingenti necessità negli anni. E’ calata la sera autunnale. L’aria è diventata ancora più frizzante. Varchiamo il grande portone in legno ancora accettabile. Il nostro sguardo si posa sulla dirimpettaia piazzetta intitolata allo scultore nisseno Michele Tripisciano, il cui busto troneggia al centro di un ancora decorosa aiuola. Pare guardare distrattamente il sonnacchioso via vai della gente del quartiere oggi di composita provenienza. Abbandoniamo le immagini di lord Bentinck e delle sue riunioni con occulte congreghe; del compagno di scuola del nostro autore prediletto; dello scrittore e della poetessa; in ultimo del celebre regista neorealista.

Tutti vissuti o passati nella nostra città un tempo “colpita da improvviso (cattivo) benessere”.

Usciamo sul corso. E’ quasi buio. Un pò pensierosi

”(ri) torniamo a riveder le stelle”.

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