Da Sant’Antonino ad oggi
Ci sono luoghi che sembrano addormentati, immobili nel tempo. Poi, improvvisamente, qualcuno riapre una porta, e da quella fessura affiora la storia. È accaduto di nuovo a Caltanissetta, grazie alle Vie dei Tesori: una tappa misteriosa, sotterranea, che ci riporta al cuore di un passato dimenticato.
Sotto il maestoso Palazzo delle Poste — oggi sede di Sicilibanca — si cela una cripta. Pochi lo sanno, eppure lì, dove un tempo sorgeva la Chiesa di Sant’Antonino, in piazza Marconi, si conserva ancora un frammento di dolore e di memoria.
Durante i lavori di restauro del 2009, affiorò una cisterna colma di ossa: resti di 51 uomini, 35 donne e decine di altri scheletri non identificati. Era come se la città avesse voluto svelarci un segreto. Quelle ossa raccontavano una storia antica e terribile: quella dell’epidemia di colera del 1837. La chiesa di Sant’Antonino, allora, divenne rifugio per i moribondi. Chi arrivava, spesso non ne usciva. E quando il contagio non lasciò più scampo, i corpi vennero sepolti in una fossa comune, lì dove oggi si alza la banca.
Accanto ai resti umani, bottoni, crocette, cocci di terracotta, frammenti di lino. E persino corde intrecciate di canapa, forse usate per calare i cadaveri nell’ossario. Tracce minuscole, eppure potenti. Un incontro diretto con 151 nisseni di allora, che il tempo aveva sepolto nel silenzio.
Oggi quel silenzio si riapre al racconto. Ad accoglierci, le ragazze del Rapisardi–Da Vinci: preparate, appassionate, sorridenti. Sono loro le custodi di questo passaggio tra storia e mistero, tra il visibile e l’invisibile.
E se i sotterranei custodiscono le ombre della memoria, i piani superiori risplendono di luce e colore. Qui, il palermitano Gino Morici, artista raffinato e sui generis, ha lasciato sulle pareti del palazzo — costruito nel 1931 e inaugurato nel 1934 — affreschi e tele che raccontano la storia della comunicazione e un’intensa allegoria dell’Italia. Un mondo di figure, simboli e schizzi che trasforma l’edificio in un museo nascosto, un ponte tra arte e memoria civile.
Ma la storia inizia molto prima del palazzo che oggi conosciamo. Qui, nel settembre del 1637, sorse la Chiesa di Sant’Antonino, con l’annesso convento dei frati minori riformati, in quella che allora era l’antica contrada del Canalicchio. Modesta, francescana, dedicata al santo che dal 1639 divenne patrono minore della città.
Nel tempo, la chiesa subì restauri, come quello del 1802. La città cambiava: l’apertura della strada di Sant’Antonino, oggi via Crispi, ne modificò l’aspetto e ne isolò l’ingresso con una grande scalinata circolare. Davanti sorgeva una fontana, poi scomparsa con la nascita di piazza Indipendenza, cuore del mercato cittadino. Col passare dei secoli, la chiesa divenne ospizio, poi caserma e infine deposito militare, finché — nel secondo decennio del Novecento — fu demolita per lasciare spazio al nuovo Palazzo delle Poste, progettato dall’ingegnere G. Lombardo
Così, il luogo che un tempo fu chiesa, poi convento, caserma, ufficio postale e ora banca, continua a vivere. Perché i luoghi, come le persone, non muoiono mai davvero: cambiano volto, ma non perdono la loro anima. E in quel luogo ben preciso, Caltanissetta conserva ancora il battito antico della sua storia.




