San Domenico: la pittura del Paladini e i misteri della cripta

Francesco Daniele Miceli
5 Min Leggere

Durante le Vie dei Tesori, le visite a San Domenico sono guidate con passione dagli studenti del Liceo Classico “R. Settimo”, che, con grande preparazione ed entusiasmo, accompagnano i visitatori in una sorta di staffetta di scoperte: dalla facciata all’interno, dalla pala centrale a quelle laterali, dalle statue fino alla discesa più attesa — quella verso la cripta.
Chissà quante volte, passando per via Filippo Paladini, ci siamo chiesti chi fosse davvero quel nome. La risposta è nascosta dietro quel portone antico della chiesa di San Domenico. Basta entrarvi per scoprire la sua pala d’altare, una delle opere più intense del pittore toscano attivo in Sicilia tra la fine del Cinquecento e i primi del Seicento.
Filippo Paladini, artista dalla vita inquieta e luminosa, giunse nell’isola portando con sé la lezione di Caravaggio: ombre che raccontano, volti veri, una luce che sembra venire da altrove. La sua pala custodita a San Domenico, dedicata alla Madonna del Rosario, è imponente — e accanto a essa si trovano le opere di un altro artista, meno noto ma non meno prezioso: Ruggeri.
Del pittore Ruggeri (o Ruggieri, o Roggieri) si sa poco. Nacque intorno al 1635 e visse tra Caltanissetta e la Sicilia centrale, dedicandosi interamente alla pittura sacra. Fu sepolto proprio nella cripta di San Domenico, in un punto oggi sconosciuto. Nelle sue tele si percepisce l’influsso di Caravaggio e di Pietro Novelli: corpi vivi, volti intensi, panneggi sontuosi e ricchi di pieghe, un rosso profondo che sembra accendere la tela. Tra le nubi, i suoi angeli e cherubini sembrano guardarci dritti negli occhi. – ci dice la nostra guida.
In questa chiesa tutto parla dei domenicani: la ricerca della verità, la disciplina della preghiera, la forza della parola. Ogni altare, ogni simbolo, ogni pennellata racconta chi erano e cosa facevano. E tra le figure sacre spicca San Tommaso d’Aquino, raffigurato con le ali — metafora della mente che vola verso Dio, dell’intelligenza che si solleva sopra le cose terrene.
Scendere sotto la chiesa significa entrare in un’altra dimensione. Un silenzio assordante, la luce fioca. La cripta di San Domenico, detta anche “la sepoltura grande”, è uno spazio ampio e antico, suddiviso da un corridoio centrale e da piccole celle laterali. Nei secoli fu luogo di sepoltura per i frati e per le famiglie nobili, in particolare i Moncada, che vollero riposare accanto ai domenicani.
Ma ciò che colpisce di più sono i colatoi, le antiche strutture dove i corpi venivano deposti per la decomposizione naturale. Alcuni hanno la forma di sedili in muratura con un foro centrale, altri sono costituiti da lastre di terracotta o da piccole nicchie in cui i defunti venivano collocati in piedi, in attesa che il tempo compisse il suo lavoro.
La leggenda vuole che tutte le cripte delle chiese nissene siano collegate tra loro, come una città sotterranea invisibile. E questa discesa non sembra altro che un piccolo passo verso quella città nascosta, dove — forse — i vivi e i morti ancora, secondo la leggenda, possono dialogare.
Grazie a un recente intervento di restauro finanziato dal Fondo Sviluppo e Coesione 2014-2020 “Patto per la Sicilia”, la cripta è tornata accessibile dopo anni di chiusura dovuti a crolli e infiltrazioni. Un lavoro accurato che ha restituito luce e dignità a questo spazio, permettendo di ammirare l’antica scala di accesso e parte della pavimentazione originaria in cotto, oggi visibile anche attraverso una lastra di vetro.
San Domenico è una chiesa che si trasforma e rinasce da secoli: fondata nel Quattrocento, sconsacrata, abbandonata, poi restituita al culto nel 1923. Oggi continua a parlare, e chi vi entra capisce che in questi muri c’è ancora vita — e una memoria che non smette di respirare.

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