Luca Saccoia è il protagonista assoluto di “Natale in casa Cupiello”, lo spettacolo pluripremiato in esclusiva regionale a Caltanissetta domenica 28 dicembre alle 19 al teatro Rosso di San Secondo, per “La Bella Stagione” diretta da Alessandra Falci.
Nel 2006 aveva recitato al Margherita con Luca De Filippo e la sua compagnia in “Napoli milionaria”, oggi torna con un altro capolavoro di Eduardo De Filippo, rappresentato nella forma originale del teatro cum figuris.
Lo abbiamo incontrato prima delle prove ed ha risposto con grande disponibilità ad alcune domande.
1) Come ha scelto questo testo di Eduardo per rappresentarlo con questo linguaggio scenico particolarissimo? Perché questo testo?
La domanda è talmente semplice che è complicata, perché quando abbiamo scelto, tempo fa, ci siamo interrogati su una serie di possibilità. Tra queste possibilità c’era anche Natale in Casa Cupiello, innanzitutto perché si avvicinava la data del 90° della prima messa in scena, il 1931, ci siamo detti “Perché non immaginare un omaggio?” Poi ci sono tutta una serie di circostanze che fanno capo ad altre cose, più intime, più personali che risalgono all’infanzia, alla visione della commedia con i nonni, con i familiari, quando la famiglia era unita ed erano tutti vivi. Queste due cose insieme, insieme alla volontà del gruppo Interno 5 con Teatri Associati abbiamo detto sì, facciamola, ma, non con gli attori. Questa era la commedia di Eduardo, io non credo che lo farò mai. Questa è un altro tipo di messa in scena: le parole sono le stesse del testo ma la natura della messa in scena è un’altra cosa, che viene da un altro tipo di necessità. Diceva Eduardo “Andando incontro alla vita si può generare il teatro”, se vai incontro alla forma prima della messa in scena si va incontro alla morte
2) Incuriosisce la definizione di questi sette personaggi: pupi, pupazzi, marionette. Intanto come li definite e perché? Per altro verso questi pupi ricordano molto Pirandello, rispetto a quella pagina in cui lui dice, nel “Berretto a sonagli”, ognuno ha il suo pupo; però c’è anche il discorso del presepe, del presepe che è il centro dell’azione scenica. Cosa sono questi personaggi?
Innanzitutto l’autore dei pupazzi e della scenografia che è Tiziano Fario li chiama pupazzi, e noi li chiamiamo pupazzi. Quindi non sono né marionette, né pupi, le marionette hanno i fili, i pupi vengono governati in un altro modo, questi sono agiti in un’altra maniera. Il presepe ovviamente è centrale, sia in Natale in Casa Cupiello che in questa messa in scena. In questo caso Tommasino, che poi è il mio personaggio, si ricostruisce la famiglia, diventano i suoi pastori i pupazzi, e diventa la sua famiglia. Mentre ci sono i paladini di Francia con i pupi siciliani, qua i paladini sono i personaggi nostri: sono Pasquale, Concetta, Nuccia, Luca, Tommasino. Quindi Tommasino, rivivendo tutta la vicenda, snocciola la commedia nota al pubblico con un’altra veste, facendoci soffermare più sul testo. Ormai siamo alla 130° replica, e la gente dice “Ma io lo sto sentendo per la prima volta”, perché non ti fissi più su Eduardo, guardi loro, e ascolti, e loro diventano centrali. Così come sono centrali i personaggi del presepe, che però sono fissi. Il presepe non ha conflitto, e invece Natale in casa Cupiello è un luogo del conflitto, e Luca si rifugia nel presepe, perché attorno c’è gente che non crede più. Lui è una specie di Don Chisciotte se vogliamo, costruttore di sogni, in una famiglia in cui i sogni non vengono più capiti, non vengono più interpretati.
3) Sul tema della famiglia piò essere interessante soffermarsi La prima della commedia è del 1931, poi la riformula nel 1934, fino agli anni ’40, è un periodo storico in cui il fascismo è all’apice, e porta avanti un’idea di famiglia che invece è molto retorica, tetragona, Patria e Famiglia. Invece qui viene fuori una famiglia che è una specie di scatola nera delle contraddizioni della società. Tomasino, nella rappresentazione tradizionale, sembra un elemento dissonante, sembra il guastafeste, il rompiscatole, invece poi lì diventa diverso. In questa famiglia come vi siete ritrovati? Più nella contemporaneità oppure in una dimensione fuori dal tempo?
A questa domanda io non so rispondere, perché è la sua famiglia, e lui è talmente preso a omaggiare il padre, che è tutto dentro, sviscerare questa cosa diventerebbe banale: è una poesia che non posso raccontare. Però rispetto alla scansione del tempo, il 1931, il 1934, la cosa fondamentale, che viene fuori anche dalla nostra messa in scena, è che questa commedia nasce come secondo atto, poi Eduardo aggiunge il primo e aggiunge il terzo, e il secondo atto anche di questa messa in scena è un grande omaggio al testo, è un grande omaggio al padre. Un padre vessato in vita e che viene poi omaggiato da Tommasino facendolo diventare il grande costruttore di questo grande presepe, dove la storia è una: non è quella di Cristo ma è quella della famiglia Cupiello. Quindi mi ricordo della famiglia Cupiello come se fosse quella di Gesù. La greppia, il letto, è centrale anche in questa messa in scena. Nel primo atto io sono a letto tutto il tempo: mi risveglio Luca. Ridivento Tommasino, raccontando nel secondo atto tutti i personaggi, dando la voce a tutti (io faccio le voci di tutti quanti). Nel terzo atto poi divento padre e figlio insieme e i manovratori raccontano invece tutto il resto dei personaggi. Questo passa al pubblico.
4) Allora oggi che senso ha chiedere “Ti piace il presepe?” Cosa può volere dire oggi? Perché è vero che il presepe è statico, ma un modo con cui abbiamo anche cercato di mettere ordine nella nostra vita, ognuno costruendo il suo presepe
Io posso dire che Tommasino dice sempre di no al padre, e, facendo fede al sì detto al letto di morte del papà, fa una promessa, e la mantiene. Diventa un romanzo di formazione
5) Quindi è un finale aperto?
Lo era anche quello di Eduardo. Lui non muore davvero. E neanche nel nostro spettacolo: sì lui ascende al cielo, ma è già tutto successo. Quindi Tommasino può essere quello del 1931 ma anche del 2031, come del 1975, l’anno in cui sono nato io
6) Luca e Tommasino sono maschi, ma nella commedia le donne hanno un ruolo particolarissimo: Concetta, Ninuccia. Come emerge il loro ruolo?
Concetta è una superstar, è la commedia di Concetta. Ninuccia è l’elemento anche lei centrale, perché scatena la tragedia. E infatti ognuno di loro ha una voce ben precisa, che prende spunto da alcune cose, ed evoca le voci dei personaggi, che sono irripetibili. Ninuccia, essendo mia sorella, io la prendo in giro dall’inizio alla fine, la faccio diventare una specie di diva dei telefoni bianchi. E io mi prendo molto in giro in quanto Tommasino. Queste cose non è che il pubblico le recepisce per forza, però le parole sono quelle di Eduardo. La sfida era quella: usare le stesse parole ma in questo tipo di versione. Così il pubblico si concentra sul testo, non sul “fantasma”, se no si è presi tutto il tempo dalla interpretazione dell’attore; e lo metti a paragone con Eduardo. Usare questo tipo di linguaggio, cum figuris, aiuta anche chi questo lavoro lo fa di professione, perché il successo di questo spettacolo, che usa le figure, ora si sta diffondendo in teatro anche con altri autori e attori, e sta dando più valore a questo codice. Quindi è un ulteriore servizio che, involontariamente, abbiamo fatto
8) Ho letto che la Fondazione De Filippo ha sostenuto questa operazione. È noto che non è facile che diano l’autorizzazione a rappresentare i lavori di Eduardo. Che tipo di investimento culturale ha fatto la Fondazione?
Risponde Ilenia De Falco, direttore di produzione
Nella loro mission hanno la trasmissione del patrimonio di Eduardo alle nuove generazioni, e dunque l’avere utilizzato un codice che si avvicina anche ai giovani, perché fa arrivare ad Eduardo attraverso una messa in scena fatta di pupazzi, avvicina molto di più il pubblico, anche di ragazzini, si appassionano alla commedia attraverso un gioco. Quindi questo è stato proprio il primo obiettivo della Fondazione. Anche perché loro non danno molto facilmente i diritti e l’idea che fosse uno spettacolo per un attore e pupazzi non creava una competizione forte con altre realtà. Poi andiamo al teatro San Ferdinando, che è già esaurito da mesi, e quella è la casa di Eduardo. Ora ci manca l’estero, abbiamo fatto una data all’estero con i sottotitoli in francese.
Abbiamo voluto mantenere la stratificazione generazionale che c’è nella commedia, anche in tutto lo staff che ha lavorato a questo progetto. Partiamo da ragazzi giovanissimi sino a Tiziano Fario, lo scenografo di Carmelo Bene, ultrasettantenne, e anche il corpo dei manovratori dei pupazzi. Esattamente come la commedia, e questo ha prodotto uno spirito corale, con i tecnici che non sono tecnici, sono attori.

