Brevi riflessioni di fine anno: l’«ignoranza attiva» della Politica

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di Filippo Falcone

In questi giorni di riposo di fine anno, rileggendo alcune massime di Goethe (dal “Breviario di massime e riflessioni”, edizione con note di Giuseppe Zamboni), spicca una delle sue meditazioni sull’«ignoranza attiva»; che d’istinto fa subito pensare all’odierno scenario politico.

Scrive il grande scrittore tedesco: «Nulla è più terribile dell’ignoranza attiva». Si badi, Goethe non si riferisce alla semplice ignoranza, cioè a quella del non sapere, che potrebbe anche essere uno «stato di quiete», di «riposata serenità», ma all’ignoranza della vanità del fare, del gioco degli interessi, della saccenteria di valutare poco gli altri e troppo se stessi.

La riflessione dello scrittore non può oggi, dicevo, non riportare ai nostri politici, specie a quelli locali, al loro occasionalismo, alle loro decisioni senza conoscenza del passato, né proiezione di futuro.

L’amministrazione dei territori diventa così improvvisazione, spesso scambiata per prontezza di scelte. Non, dunque, quello che Einaudi chiamava «conoscenza per deliberare», bensì «deliberare senza conoscenza»: dove la conoscenza è sapere, padronanza storica, attitudine a leggere le cose.

Le riflessioni di Goethe riportate all’oggi sembrano metterci di fronte ad uomini di governo ignari di Storia, spogli di sapere, che continuano a dimenarsi nel loro quotidiano dilettantismo.

Proseguono così a consumare parole in retorici progetti futuri, incapaci di interpretare le vicende del tempo e di accendere spiragli.

Alla fine della lettura goethiana, ne nasce una sorta di nostalgia per certa “politica perduta”, per la sua autenticità (mi viene in mente Pertini), per il riserbo delle scelte, ma, soprattutto, per il saper dominare le cose e non nell’esserne dominati.

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