Ha ragione Julia Kristeva, altra grande personalità del pensiero contemporaneo, filosofa e psicoanalista: “L’handicap ci mette a confronto con la morte fisica e psichica, con la mortalità che opera dentro ciascuno di noi”.
L’ho rivisto sulla sua sedia a rotelle. E mi venivano in mente i tanti che avevo conosciuto a “Casa famiglia Rosetta”. E pensavo ad un ragazzo che è morto e non c’è più, come tanti altri che sono scomparsi. Un buio nell’anima, un pugno nello stomaco, attraversato dalle mie paure e dalla mia profonda tenerezza per i ragazzi con la distrofia muscolare, il ritardo mentale, lo screzio psicotico, la sclerosi laterale amiotrofica.
Malati fisici e psichici? No, non lo erano per noi che per empatia ci sentivamo come loro.
Una fitta al cuore, anche io fragile come loro, anzi più fragile di loro, con la mia bella laurea di 110/110 e la lode. Non sapevo, non conoscevo il pianto, il dolore umano di un altro diverso da me. E per ore rimanevo paralizzato, senza parole, preso dalla mia angoscia, preso dalla mia disperazione di educatore inconsapevole e per la mia impotenza umana dinanzi alla sofferenza.
Anche io ero su una sedia a rotelle e non me ne ero accorto!
I tanti normali e sani che frequentavo mi sembravano più malati di noi, che eravamo poveri cristi dimenticati! Ancora oggi, sani e normali chi sono? E chi erano quelli di prima? Da dove mi veniva la fede in quell’opera “impossibile” che il destino mi aveva assegnato?
Non sapevo. Sapevo di libri. No, non sapevo della pipì o della cacca che mi sporcava.
Non sapevo della bava sul mio collo. Non sapevo di quel pugno di Teresa che mi aveva sferrato per suo bisogno d’amore. Non sapevo di quelle parole incomprensibili e delle loro urla che non riuscivo a capire. Handicappati?
Si, lo siamo tutti handicappati e anche un po’ folli per le tante ferite dell’anima che ci portiamo dentro! A “Casa famiglia Rosetta”, nei Servizi di psichiatria, nei quartieri periferici e abbandonati delle città. E ritornano con forza alla mia mente i loro nomi:
Concetta, Ezio, Filippo, Mario, Calogero, Salvatore, Teresa, Giuseppe, Calogera, Giovanni, Maria e tanti altri. Il loro sguardo ha bucato le nostre anime, ha segnato con le loro lacrime la nostra fatica, i loro sorrisi sono stati il nostro balsamo. Anche noi, disabili, come tutti!
Basta essere umani per ricordarci che siamo mortali, limitati, fragili, figli di un dio minore. E in questo breve ricordo che la memoria non inganna, sento vibrare la mia anima segnata dalla sensibilità che mi porto dentro.
Ecco l’uomo, colui che sa piangere e non prova vergogna, colui che percepisce la propria sensibilità umana vigorosa e colma di dignità. In questo tempo fallace e bugiardo, in questo tempo oscuro di guerre e di morte, in questo tempo insensibile che non si cura dei deboli, degli ultimi, di quelli che arrancano.
Non importa, ricordo per quelli che vogliono sapere, per quelli che piangono lacrime e sanno sorridere d’amore e di speranza.
da “Racconti apolidi” di Tonino Calà
