Si è respirato l’ossigeno della libertà, il bene comune più prezioso e oggi più precario, nella serata di “Bene comune” al Teatro Rosso di San Secondo, promossa da Prima Quinta e dedicata ad Alberto Antonio Foresta, l’artista nisseno fortemente schierato in difesa della libertà di espressione, a partire dall’arte, provocatoria per definizione, in quanto generatrice di emozioni, positive o negative, ma sempre capaci, se autentiche, di metterci in discussione.
L’incipit non poteva essere più pertinente: “La verità è dentro di noi”, versi di Giordano Bruno, il filosofo poeta bruciato vivo a Roma nel 1600 per ordine dell’Inquisizione, versi che sembrano scritti oggi, offerti al pubblico da Monica Granatelli, giovane attrice di Prima Quinta, una presenza capace di renderceli contemporanei.
Due poltrone rosso scuro in un angolo del boccascena, nella prima parte della serata, a definire lo spazio del dialogo-intervista di Giuseppe Rapè a Foresta, sul rapporto tra arte e libertà, su sperimentazione del linguaggio delle immagini e legittimità della provocazione, sulla capacità dell’arte di fotografare l’esistente, di rappresentare i contesti che la generano facendo contemporaneamente immaginare altro, nella mente di chi la contempla.
“Nel rapporto tra arte e libertà i confini sono i luoghi – ha spiegato Foresta – i luoghi in cui l’opera d’arte si trova e il senso che assume rispetto ai contesti, senza essere mai astrazione assoluta, evasione puramente estetica, ma espressione della posizione che si prende stando dentro la realtà, da parte dell’artista e da parte del pubblico”.
“Non mi sono mai proposto il fine dell’apprezzamento – ha continuato Foresta – il voler compiacere il pubblico, non penso che sia questo il ruolo di un artista, che invece si esprime innescando nuove domande in chi osserva le sue opere, pro-vocando la ricerca, la visione di quello che ancora non c’è”.
La lettura di un brano di “Pert”, il testo teatrale di Aldo Rapè dedicato a Sandro Pertini, ha definito l’orizzonte storico- culturale, ampio, del discorso sulla libertà che intorno all’espressione artistica si accende. Una libertà mai definitivamente conquistata, mai scontata, sempre insidiata da un nemico subdolo e invisibile che si annida dentro le nostre coscienze, “ogni volta che mettiamo il nostro interesse personale al di sopra del bene comune” come dice Pertini. Libertà che sarà al sicuro soltanto quando “le nostre coscienze diventeranno inespugnabili”, a partire da noi.
“La libertà” di Giorgio Gaber, cantata da Giuseppe Rapè al termine della prima parte dell’incontro, ha ricordato a ciascuno la differenza tra la libertà vuota di chi si limita a delegare e ad evadere dalla realtà e la responsabilità della libertà come partecipazione, come consapevolezza di una dimensione sociale che non possiamo rimuovere. È un testo del 1972 e riscontrarne l’attualità inquietante nel tempo che stiamo vivendo ha dato i brividi a molti dei presenti.
Nella seconda parte dell’evento la performance Libera libera Palestina. Libera dall’oppressione, libera da Israele ma libera anche da se stessa, dal terrorismo, dalla violenza che ancora la imprigiona, come ha spiegato Alberto Antonio Foresta, dimostrando con poche parole come l’arte non provochi mai a senso unico, ma con una libertà totale e spiazzante.
Una performance abbagliante, animata da una straordinaria Veronica D’Antoni, portata in scena avvolta in un sudario candido, interminabile, dal quale è emersa lentamente alla luce come in una resurrezione, liberando, nell’ultimo metro, una bandiera della Palestina con la quale si è avvolta a proteggersi e che ha avvolto con tenerezza tra le braccia, come un bambino da cullare, come uno dei 15.000 bambini morti a Gaza di bombe o di freddo, come uno dei 18.000 orfani che la guerra ha lasciato in Palestina in questi mesi.
Il sudario ripiegato, sul tavolo della performance, ha continuato ad evocare un’altra Resurrezione, e la speranza universale che quella Resurrezione ha generato per l’umanità, senza eccezioni, senza esclusioni. A partire dagli ultimi della terra.
E le braccia dell’attrice sono riuscite a diventare ali, e a disegnare con espressività straordinaria il volo dell’anima che da quella bandiera, da quell’idea della patria, autentica, interiorizzata, sofferta, mai retorica, si può liberare.



