I teorici di Palo Alto e la comunicazione paradossale

Tonino Cala
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Non bisogna dare troppa importanza ai social perché il virtuale non è il reale. I social sono taroccati e non sono sicuri. A me hanno rubato il profilo. Ne faccio un uso critico.

Scrivo per il piacere di scrivere e per comunicare qualcosa che possa essere significativo, sapendo che i social e la virtualità si prestano all’ambiguità comunicativa perché troppo facilmente il contenuto viene condizionato negativamente dallo strumento che si usa, per cui le emozioni e i sentimenti vengono esposti a una dinamica insincera e manipolatoria.

La comunicazione diretta e in presenza è un’altra cosa: si guarda negli occhi l’interlocutore, si sente il tono della sua voce, si guarda la sua gestualità e, quindi, la comunicazione è meno ambigua e paradossale.

Chi è educatore sa che non bisogna prestarsi ai rischi critici della comunicazione virtuale. Proprio ieri un mio amico, che è anche docente, mi diceva: sui social meno si scrive meglio è. E si propone una limitazione dello scrivere perché la comunicazione viene “fraintesa”, mal capita, come ci hanno spiegato i teorici di Palo Alto e gli esperti della terapia famigliare, penso per tutti a Gregory Bateson.

In questo momento che scrivo nessuno può percepire la mia sofferenza o la mia gioia perché il mezzo comunicativo si presta all’equivoco e non lo consente. Anche le immagini non ci dicono abbastanza, sono una narrazione incompleta. La mia scrittura è volutamente provocativa perché fa emergere le contraddizioni nostre, anche le mie. Si scrive nel tentativo di comunicare qualcosa di vero, pur sapendo che tutto è relativo e risibile.

Parlo di comunicazione paradossale e scrivo sui social per fare vedere come dagli stessi emerga la banalità e l’inconsistenza comunicativa, perché si tratta di uno spazio giocoso e beante dove è assente il pensiero critico.

Infatti, anche quando scrivo qualcosa di significativo mi prendo in giro. La pedagogia non è una opinione, è una scienza. E prima ancora è una pratica dell’esperienza.

Che la virtualità non è la realtà è un fatto incontestabile, come anche il discorso critico che l’intelligenza artificiale non è l’intelligenza umana. Nella società di oggi le malattie e la morte sono state rimosse perché la nostra è una società iper-produttiva dove vale la legge super-egoica del plus godere: tu devi godere! Il plus godere quale comandamento assoluto dell’imperativo categorico: godi e basta!

Senonché, ci sono le malattie e c’è la morte, alle quali non si può sfuggire. Non è bella la morte e neanche si può amare come diceva San Francesco! Bisogna essere dei santi per amare la morte. Ma la morte esiste e fa parte della vita.

Non si può rimuovere la morte, come non si può rimuovere la malattia quando ci si ammala. Da qualsiasi punto vista siamo mortali e limitati e ci tocca sempre di fare i conti con la nostra finitudine mortale, ci piaccia o non ci piaccia! Alla filosofia esistenzialista non sfugge il dato empirico ed esperienziale del nostro comune limite: la morte ci fa uguali!

Credenti o non credenti, ricchi o poveri, la morte livella tutte le differenze e ci fa ugualmente umani. Per me Dio è il principio spirituale dentro l’uomo che ci consente di affrontare e di superare l’indubbio nichilismo della società contemporanea.

Nel nome del padre si affrontano le criticità e le difficoltà della vita. Mammona è stata sconfitta dalla Storia e dai fatti indubitabili dell’esistenza. Le guerre e le conquiste non hanno risolto i problemi dell’umanità. Aveva ragione il poeta Hermann Hesse quando scriveva: “felice è colui che sa di non possedere e non possiede nulla!”.

Steve Jobs era l’uomo più ricco, famoso e potente nel mondo e non ha potuto sconfiggere il suo cancro, morendo a soli 56 anni. Cristiani o non cristiani, la morte e le malattie “regolano” la vita e il destino degli uomini. Certo, penso a Martin Heidegger e al suo “essere per la morte”, non solo a lui. Anche il cristianesimo e le altre religioni, lo stesso buddismo, usano lo stesso linguaggio umano, la stessa scrittura millenaria di domande e di risposte etiche e filosofiche.

Tonino Calà

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