Il fumo e l’incenso di Michele Burgio (Bompiani)

Roberto Mistretta
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Salto di qualità per lo scrittore di Serradifalco, Michele Burgio, che approda nella prestigiosa scuderia della Bompiani con “Il fumo e l’incenso”, da poche settimane in libreria, romanzo che in precedenza e con altro titolo era stato pubblicato nella collana “Le dalie nere” di Ianieri Edizioni curata da Raffaella Catalano e Giacomo Cacciatore.

Michele Burgio è scrittore dal tratto sciasciano nel senso più ampio del termine e non potrebbe essere altrimenti per chi è nato in una terra schizoide come quella dell’entroterra siciliano dove alla bellezza della natura, con l’ulivo che verdeggia su colline e pendii, e campi sterminati coltivati a grano con la nepitella che s’aggrappa alle pietre a delimitarne i confini, fanno da contraltare miniere tombate con interrati rifiuti tossici e altre nefandezze che l’umana barbarie dell’uomo moderno continua a produrre.

Il pedigree narrativo di Michele Burgio ci consegna un autore dalle sapienti doti letterarie, distintosi al prestigioso Premio Calvino col romanzo inedito “U tortu”, a cui fece seguito “Favi amari”, opera che racconta del lungo viaggio del cantastorie di Sutera, Nonò Salamone.  

“Il fumo e l’incenso” racconta la discesa senza redenzione nelle zone oscure delle umane miserie dove a farla da padrone è, ancora una volta, il pessimismo della ragione di sciasciana memoria. Nessuno è esente da colpe e Burgio è abile ad adoperare la carta vetrata dell’inchiostro per sfregare via la patina di apparente rispettabilità a Serrapriola, immaginario paese dell’entroterra siculo, paradigma di ogni centro abitato dove i poteri forti vanno a braccetto, sostenendosi e sostanziandosi l’uno con l’altro, anche quando, per costituzione e statuto, dovrebbero stare agli antipodi, come la Chiesa di Cristo e il malaffare degli uomini.

L’autore gioca coi simboli e impernia la trama sulla mancata esposizione di un crocefisso in ebano che il giovane parroco di Serrapriola, impegnato anche ad allenare la squadra di calcio parrocchiale, ha fatto restaurare grazie alle offerte delle parrocchiane. Un restauro a regola d’arte, eseguito da mastri artigiani, ma allora perché non lo espone all’adorazione delle anziane che dell’afflato in chiesa al corpo flagellato di Cristo hanno fatto voto di vita e di fede?

Tra queste la più irriducibile è zia Nannina, donna di carattere indomito che viste andare a vuoto le sue richieste, per risolvere l’arcano e indurre il parroco a fare il suo dovere, coinvolge Sergio Vilardo, un giornalista figlio dell’amica Filomena, anche lei beghina e picchiapetto. Mentre dunque il mistero del crocifisso non esposto dipana la sua trama misteriosa per quanto leggera, la tragedia si abbatte su Serrapriola con la scomparsa di Luca D’Avola, un quindicenne che con gli altri amici, Gesualdo, Kevin e Rosario, fa parte del gruppo I megli, come si sono denominati su Whatsapp. I megli, come fin troppo spesso avviene tra ragazzi dei giorni nostri, si sballano e fumano canne. Per un periodo Luca ha perfino spacciato, contraendo un debito di duemila euro con uno spacciatore. E proprio lo spacciatore lo minaccia il giorno prima della sua scomparsa per riavere indietro i suoi soldi. Ma anche lo spacciatore ha i suoi guai, avendo messo su il proprio giro di spaccio senza l’autorizzazione di chi a Serrapriola fa il bello e cattivo tempo, ovvero don Orazio Scuderi.

L’ultimo ad avere visto Luca prima della scomparsa, di cui si stanno già occupando i carabinieri – e qui bisognerebbe aprire un altro capitolo per raccontarne il contesto-, è stato l’amico inseparabile, Gesualdo. Ci sta pure un testimone, il sagrestano del parroco, che li ha visti a bordo di uno scooter. Gesualdo però non è un ragazzo qualunque e porta un nome pesante. È l’erede designato di don Orazio, ufficialmente rispettabile uomo d’affari, ma tutti sanno che a Serrapriola non si muove foglia che don Orazio Scuderi non voglia, e quando sarà proprio Gesualdo a ritrovare Luca, assassinato a due passi dalla propria tenuta di campagna, non se ne starà certo con le mani in mano a vedere le maglie della giustizia stringersi attorno al suo erede.

Eh sì, perché dalla memoria del telefonino di Luca, verranno fuori segreti inconfessabili per la mentalità perbenista e ipocrita di Serrapriola, e pulsioni e passioni di cui nessun essere umano è immune.

E qui ci fermiamo con la consapevolezza di avere già ingolosito i lettori. Non un giallo classico, piuttosto tante sapienti pennellate che danno vita a un quadro d’autore dove vengono tratteggiati i chiaroscuri della nostra società. Verità e menzogna vanno di pari passo con omertà e complicità, convenienza che equivale a reciprocità.

Una società dove gli innocenti, innocenti non sono, e anche i demoni, al contrario, si aspergono con l’acquasanta.

Il fumo e l’incenso, appunto, primo romanzo di una trilogia che, ne siamo certi, sorprenderà e appassionerà, come da sempre fanno i buoni libri.

Roberto Mistretta

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