“Il Natale di Falconara”
1^ Puntata
“Nella buona e nella cattiva sorte”
- No commissario, io pena non ce ne ho che gli hanno arrubbato la tonaca e le cose d’oro dell’altare e della sacrestia a padre Incorvaia. Minkia ora lo hanno fatto pure mezzo bonsignore.
- Monsignore, monsignore si dice.
Corresse Falconara.
- Bonsignore, monsignore. Lo stesso cosa fitusa per me resta padre Incorvaia. Bene hanno fatto. Io però non c’entro niente. Anche se questo parrino è avanzato di grado, per me resta uno falso e vigliacco. Però io non sono cosa di arrubbare cose di chiesa.
Falconara intervenne di nuovo.
– Certo tu non rubi. Vero? Un santo sei? Vero? Non ruberesti mai in chiesa. Vero?
Immediatamente si sentì ribattere.
– Certo che non ruberei alla chiesa. E’ peccato. Lo capisce questo? Commissario lei è uomo di legge… ma di legge degli uomini. Legge per modo di dire. Basta che uno si mette nelle mani di un avvocato buono, di quelli all’antica però, non uno di questi moderni tutto birra di sera e braccialini di giorno. Certo ci vuole pure un giudice che si fa tìnciri (ingannare n.d.r.) dall’avvocato. Dalla legge degli uomini ci si può difendere ma da quella divina no. Non c’è avvocato o giudice che tenga. La legge divina non conosce concorsi vinti. Là sopra non ce ne sono scuola di avvocato o scuola di giudici. Là sopra non c’è bisogno di prove, vere o false. Là sopra si sa tutto.
Io a lei lo posso imbrogliare. Qui però, in commissariato o in tribunale.
Possiamo fare tragedie con io che dico che sono innocente e lei che dice che sono colpevole. Ma cu u’sapi? Ma là sopra, invece, non si coglioneggia. Se uno ha fatto qualche peccato viene scritto immediatamente nel libro nero. Non ce ne sono amnistie e prescrizioni. Là sopra non ne hanno bisogno di computer. La sopra non c’è bisogno di niente. Tutto si sa e tutto si paga.
Io caro commissario non mi scanto dalla legge che lei – che è onesto – vuole fare rispettare…. per stipendio. Io mi scanto della legge divina. Non c’è stipendio e, parlando con rispetto, non c’è minchia che tiene…. Là sopra.
Falconara ascoltava con pazienza Tanino La Porta, vecchia conoscenza della questura di Calatorre e discreto informatore che passava in successione, ad ogni trasferimento, da funzionario a funzionario. Non se ne poteva fare a meno.

Lui conosceva tutte le novità del mondo della piccola malavita. Niente di eclatante. Nessun fatto di sangue. Tanino, in cambio di qualche occhio mezzo chiuso da parte della polizia, faceva conoscere il luogo dove veniva smontata una vettura fresca di furto, chi aveva bruciato la vetrina del negoziante che non aveva pagato “la mesata”, per quale motivo un bravo padre di famiglia era tornato a casa con un occhio pestato e una profonda ferita lacero contusa (così veniva refertata) da “accidentale” colpo di crick in testa, regalatogli dal marito o dal fratello di una femmina da lui ingannata con promesse di matrimonio o con cose e case impossibili.
– Allora tu mi vorresti dire che non sai dove sono andati a finire cotta e tunica di padre Incorvaia e chi ha sentito il bisogno di portarsi a casa il calice d’oro dove si tiene il vino per la messa e il vassoio d’argento dove si tiene il lenzuolo di lino bianco per l’altare. E nemmeno chi si è sentito così povero da scassinare la cassetta delle offerte che, per la messa della Immacolata dell’altro ieri, erano state fatte con pezzi di cinque e dieci euro.
Tanino aggrottò gli occhi (di cui uno strammo) e, rovesciando le parti, intimò al commissario.
– E lei come lo sa che erano tutti pezzi di cinque e dieci euro?

Falconara si trovò spiazzato e d’impeto rispose quasi senza accorgersene.
– Padre Incorvaia l’ho ha visto al momento dell’offertorio. Personalmente mi ha detto questo. Era la messa della Immacolata e quindi c’erano tutte le personalità della città. Ha pure visto i due direttori di banca, quello della Cassa di Risparmio e l’altro della Cassa Rurale che mettevano due carte di cinquanta euro ciascuno.
Tanino La Porta in altri tempi avrebbe non solo fatto i nomi degli autori del furto ma anche avrebbe indicato numero di carta di identità, scadenza della patente e targa del motorino con cui si erano allontanati i malfattori. Ora invece ostentava reticenza se non omertà assoluta. Il commissario non capiva perché Tanino rischiasse di trovarsi “scoperto” dall’usuale “soccorso sul lavoro” di cui beneficiava, ostinandosi a non rivelare nulla di quanto sicuramente era al corrente.
Volle riprovare.
– Tanino ma lo capisci che se non ci dai una mano d’aiuto il Vescovo con noi si arrabbia. Che figura ci facciamo. Tanino il valore della refurtiva e modesto tutto sommato ma il furto è avvenuto dopo la messa per l’Immacolata. Quella con cui si dà inizio alle feste di Natale. Lo capisci che il Vescovo si può anche inc… arrabbiare con noi. E poi pure la tonaca e la cotta del parrino … Ma che se ne devono fare?
Tanì parla. Ma che ti ha fatto quel povero padre Incorvaia. Manco tu mi sembri?
Ad un tratto (o “tutto insemmula” per gli indigeni dell’Isola) Tanino La Porta parve essere stato mozzicato dai cani arraggiati o da una tarantola velenosa. Diventò tutto rosso, si alzò dalla sedia tremando come se da un momento all’altro i vestiti gli si dovessero strappare alla maniera dell’incredibile Hulk. Gli occhi iniziarono a fiammeggiare, le sopracciglia si issarono vittime di una istantanea piloerezione, o rizzamento del pelo, per reazione involontaria del sistema nervoso simpatico, deputato a preparare il corpo a combattere e lottare. La voce di Tanino diventò più alta, più forte e più minacciosa, sempre per quel gran simpatico del sistema nervoso che fa aumentare il battito cardiaco, la pressione sanguigna e la tensione muscolare, incluso quella della laringe e delle corde vocali.
Il risultato fu un improvviso urlo che, per un attimo, preoccupò Falconara.
– Commissario bene hanno fatto a rubarci la tonaca e la cotta. Padre Incorvaia se lo merita tutto. E’ uno parrino che imbroglia o meglio che dice la verità a modo suo e in favore di chi dice lui. Specialmente se sono femmine.

Per un momento Falconara restò basito. Conosceva bene monsignore Incorvaia che mai aveva dato a vedere di non rispettare il vincolo della castità, da lui praticata non solo nel fisico ma anche nella mente. Non poteva essersi sbagliato. Lo conosceva da più di trent’anni. Padre Incorvaia era il parroco della chiesa di Sant’Anna dove da piccolo il commissario aveva servito messa. Il prelato poi con gli anni aveva assunto un’aria addirittura monastica. Di quasi santità. Non poteva essere che avesse manifestato qualche interesse per qualche signora.
– Tanino ma cosa mi vuoi dire che padre Incorvaia insidia qualche donna?
L’informatore strammiò (si meravigliò per gli oltre faro) e continuò a voce alta.
– Ma che ha capito commissario? Chi le ha detto questo? Padre Incorvaia è signorino da sempre e ha ragionato e si è comportato da vero parrino. Mai nessuna femmina ha insidiato. Ma che sta pensando?
Falconara, in cuor suo, si sentì confortato dalla conferma avuta da Tanino sulla onestà morale di padre Incorvaia ma non riusciva a capire la rabbia di Tanino verso il prelato.
– Ma allora che significa quello che hai detto poco fa. “Specialmente se sono femmine”.
Tanino sempre con occhi e voce alterata dalla raggia, rispose tuonando.
– Che significa? Significa che lui imbroglia i mascoli.
A me mi ha imbrogliato e mi ha messo nei guai. Per sempre!
Falconara, allenato come era nel condurre gli interrogatori, fece un attimo di pausa. Poi con fare sereno, quasi gentile, si rivolse a Tanino La Porta.
– Tanino mi spieghi cosa ti ha fatto monsignore Incorvaia?
Il tono del commissario fece effetto. Falconara in questo era un campione. Riusciva a riportare a proprio vantaggio le situazioni più estreme, più complesse, quelle che ad altri, stupidamente, avrebbero fatto tintinnare le manette davanti l’interrogato non riuscendo a cavarne un ragno dal buco, anzi ottenendo il farsi odiare di più. Falconara invece dava l’impressione di mettersi dalla parte di chi era sotto interrogatorio, facendo credere di stare chiedendo come potesse aiutare l’inquisito. Tanino si sentì compreso. Cedette alla domanda del commissario.
– Dottore prima ci dico dove può trovare la refurtiva e dopo quello che mi ha fatto padre Incorvaia. Però perché è lei. Che pure è sofferente. Perché lei soffre uguale.
Lei caro Commissario soffre come me. E soffre assai.
Quest’ultima parte Falconara non la capì. Almeno in quel momento. Non soffriva di alcuna cosa. Ne immaginava a cosa potesse riferirsi Tanino. Cosa lo accomunasse al piccolo malvivente. In ogni caso quello che era importante era far dire a Tanino il luogo dove era nascosta la refurtiva e gli autori del furto. Pertanto continuò nella sceneggiata, fingendo di avere capito ciò che per Tanino era la ragione della “sofferenza”, rimandando ad altro momento la soluzione del busillis.
– Tanino te ne sei accorto. Vero? E che vogliamo farci? Così è la vita.
Siamo nati per soffrire.
Quando voleva Falconara era un attore nato. Ma quale scuola di teatro. Quale accademia di arte drammatica. Poteva fare il professore per aspiranti attori. Era un artista perfetto. Tanino si compenetrò tutto e rivelò al commissario.
– Dottore quelle quattro cose babbe che arrubbarono alla chiesa sono buttate nel cortile dello sfasciacarrozze Santagati, vicino la zona industriale. Ma lui non c’entra e manco sa che sono ammucciate in un tombino del cortile. Totuccio “cane morto” (era il nick name del ladruncolo) e Michele “u papì” (altro nomignolo d’arte) li hanno fatti vedere a quello del compro oro. Però quello non li ha voluti. Gli ha detto che sono troppo signaliati (conosciuti) e farli squagliare non conveniva. Sti due cosa inutili non ci accucchiarono niente. Niente ci hanno guadagnato. La tunica e la cotta sono pure buttati nel tombino. Dei soldi delle offerte, però, niente so.

Falconara si accontentò della mezza rivelazione e non volle insistere sulla fine delle offerte. Aveva per il momento ottenuto quello che voleva. Recupero della refurtiva e identificazione dei due “scassapagliara”. Diede immediatamente disposizione a una pattuglia di andare a recuperare la refurtiva e a un’altra di andare a prendere i due ladri davvero “inutili”.
Poi ritornò da Tanino e con tono confidenziale gli domandò.
– Ma perché ce l’hai con monsignor Incorvaia. Che ti ha fatto? Se non ricordo male è stato lui a sposarti.
Tanino parse riaccendere la raggia.
– Ricorda bene commissario. E lì, al momento del matrimonio, mi sono accorto che nei sacramenti padre Incorvaia preferisce le femmine.
Il commissario stupito.
– Ma che vuoi dire? Non capisco?
Tanino ancora più meravigliato.
– Ma come non capisce? E dire che pure lei soffre. Come lei soffre il matrimonio e fa finta di non capire? Lei soffre, tanto è vero che non si è sposato, né si sposa con la dottoressa Maria Stella.
Falconara parse irritarsi.
– Continuo a non capire. Che c’entra la mia vita privata?
Tanino, senza scomporsi, continuò nella spiegazione.
– Commissario lei è uomo di legge. Giusto?
E Falconara.
– Giusto.
– Lei lo sa che quando uno si sposa, il parrino dice di scambiarsi gli anelli? Giusto?
Di nuovo Falconara rispose.
– Giusto.
– E poi che dice il parrino?
Falconara, quasi come un automa.
– Che dice?
Tanino.
– “Unisco voi in matrimonio…. nella buona e nella cattiva sorte”.
Falconara sembrava non capire.
– E allora? Cosa c’è di sbagliato in quello che ha fatto monsignore Incorvaia?
Tanino fu colto di nuovo da una fiammata di raggia purissima.
– Cosa ha fatto? Cosa ha fatto? Cosa ha fatto mi chiede? Ha fatto che quando ha detto nella “buona sorte” ha guardato sorridente e ha benedetto mia moglie….
– E allorà? Replicò Falconara.
– Allora?
Ribattè Tanino. Per poi continuare sempre più arraggiato.
– E allora! Quando ha detto “e nella cattiva sorte” mi ha guardato maligno dritto negli occhi e – solo a me – ha fatto il segno della croce.
Lo ha capito ora? Da quel momento mi ha messo la croce sulle spalle.
Mi ha consumato. Per sempre. Mi consumò. Mi consumò. Mi consumò.
Tanino scoppiò a piangere come un bambino.
Il commissario non riuscì a consolarlo e restò a guardare quel poveretto che continuava a darsi colpi in testa.
Continua….


