Il Reportage del lunedì. S. Sofia: il teatro che non c’è

Lillo Ariosto
Lillo Ariosto 289 Views
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Reportage immaginario tra quinte e palchi di un teatro meraviglioso, orgoglio massimo di Caltanissetta…. che però non c’è: il Santa Sofia di Caltanissetta

“Era una notte che faceva spavento, veramente scatusa. Il non ancora decino Gerd Hoffer, ad una truniata più scatisciante delle altre, che fece trimolare i vetri delle finestre, si arrisbigliò con un salto, accorgendosi, nello stesso momento, che irristibilemente gli scappava”.

(Il birraio di Preston, di Andrea Camilleri)

Sono i primi passi del Birraio di Preston, celebre romanzo di Andrea Camilleri, con cui il padre del Commissario Montalbano è venuto alla ribalta dopo una brillante carriera di regista televisivo.

Per noi sono invece i primi passi all’interno del sontuoso teatro massimo di Caltanissetta.

Abbiamo percorso oltre la metà della strada secondaria detta del Monastero di Santa Croce. Scendiamo verso destra per imboccare la sottostante via che arriva al convento delle suore del Santo Spirito sul largo della “Batiola”. Lasciamo alle spalle la strada che porta alle miniere di Trabonella e poi più giù verso quella Juncio-Tumminelli sino al Salso. Passiamo sotto l’arco centrale delle tre volte sormontate dal timpano triangolare neoclassico. Accediamo quindi al sontuoso foyer principale del Santa Sofia, il teatro simbolo della grandezza conquistata da Caltanissetta. Applique e lampadari dai preziosi pendenti di cristallo illuminano i due magnifici scaloni ai lati che portano ai palchi.

Ma che succede?

Ops! Alt. Stop.

Stavamo dimenticando.

Questo teatro non esiste. Non è mai stato realizzato. E’ stato solo una visione. Una fantasia. Un abbaglio. Un desiderio. Forse una utopia.

Il Santa Sofia – più realmente – lo stiamo sognando dopo avere ammirato gli elaborati progettuali e i disegni del prospetto gentilmente offertici dal nostro amico Giuseppe Saggio, architetto e già dirigente della Soprintendenza ai BB.CC. di Caltanissetta e Ragusa.

Fermiamoci qui.

La storia che ci accingiamo a raccontare non può andare avanti se non con la fantasia e con il personale nostro rimpianto per un’opera che avrebbe deposto, ancora oggi, a favore della (ex) capitale mondiale dello zolfo.

Il nostro “Reportage” è quindi solo un “sogno di mezzo autunno” (Shakespeare ci perdoni l’abuso e la sostituzione con “di mezza estate”) che ruota attorno al sentimento, al caos e alla magia che alterano le percezioni, mostrando come l’emozione possa nascondere – come nel nostro incipit – la realtà per poi rivelarla con lo svanire dell’incantesimo.

Il Santa Sofia è il grande teatro che la locale classe dominante desidera, a cavallo tra la fine del Regno dei Borboni e quello unitario dei Savoia, per la città Capovalle. Un teatro monumentale, tra i più grandiosi e spettacolari del tempo, che si presti a diversi tipi di rappresentazioni a testimonianza del rango elevato di capoluogo della provincia più industrializzata del Regno, grazie ai suoi considerevoli giacimenti minerari, senza dimenticare la ricchezza dell’altro “oro giallo”, il grano e i suoi derivati.

L’anno è il 1859. Un anno cruciale per gli eventi che si succederanno, le cui conseguenze giungeranno fino a noi.

La tradizione teatrale in città è radicata da secoli. Sin lì gli spettacoli, dai più classici ai più frivoli, vengono messi in scena in un teatrino allestito all’interno di palazzo Lanzirotti, sede dell’Intendenza (corrispondente alla odierna Prefettura). E’ una struttura minuscola, quasi precaria, poco più che una sala, con arredi e palchi per lo più in legno. Per alcuni spettacoli forse si sta in piedi, come nei teatri inglesi. Il numero di posti non è adeguato. Non parliamo della qualità delle sedute. Il tutto non è all’altezza dei nobili e dei notabili del posto. Non si può continuare così. A Caltanissetta, anche se con una conveniente discrezione, vige – sottotraccia – un ambiente con aspirazioni spagnoleggianti, magniloquenti, sfarzose, sommessamente appariscenti.

Chi comanda a Caltanissetta vuole un teatro vero. Deve essere magnifico. Importante.

Un teatro “da Capitale”.

E’ il 4 di dicembre del 1859 e il Decurionato di Caltanissetta (il Consiglio Comunale del tempo) delibera di rivolgere una supplica a Francesco II di Borbone (che sarà l’ultimo sovrano del Regno delle due Sicilie) per la costruzione del suo grande teatro.

Con una malcelata captatio benevolentiae si decide di intitolarlo alla regina consorte del sovrano, Maria Sofia di Baviera, nipote del potente re di Baviera (la Germania come stato unitario ancora non esiste). Del progetto viene incaricato Giovanni Briolo. E’ l’ingegnere capo della Intendenza (corrispondente all’odierno ente provinciale).

La massima autorità tecnica del momento.

Questi si reca a Napoli. Inizia a esaminare i teatri e le arene della capitale dove risiede il sovrano e la sua corte. In piena “tradizione nissena” di grandeur (quando le risorse – altrui – lo consentono) il suo sguardo si posa sul teatro massimo della città. Niente meno che il San Carlo. Briolo vi sosta a lungo. Lo studia. Lo vive. Prende appunti. Fa calcoli. Abbozza schizzi e mette su carta disegni. Ha deciso. Il Santa Sofia di Caltanissetta sarà un San Carlo in scala. Redige quindi il progetto.

L’aera su cui sorgerà deve trovarsi nel centro nevralgico della città. Nessuna area residenziale. Nessuna nuova periferia. Il teatro dovrà rappresentare il nuovo punto centrale della città. Il luogo dove il ceto dominante e quello burocratico-amministrativo dovranno esibire ed esibirsi.

L’andamento planimetrico dell’epoca è molto diverso da quello odierno.

L’attuale corso Umberto in direzione del piano della Badia, come lo conosciamo oggi, non esiste. E’ solo la strada, per di più secondaria, del Monastero dedicato al Crocifisso. Una piccola arteria obliqua alla strada principale del tempo che prende inizio, grosso modo, dall’attuale vicolo Neviera in direzione diagonale rispetto all’odierno corso e con diversa quota. Il teatro deve sorgere immediatamente dopo a uno dei palazzi della potente dinastia Barile, quello che ancora oggi porta i medaglioni gerosolimitani sul prospetto.

Dal 25 maggio 1844 Caltanissetta, con la bolla Ecclesiae Universalis di papa Gregorio XVI, nell’ambito del riordinamento delle circoscrizioni ecclesiastiche della Sicilia in attuazione del concordato del 1818 tra la Santa Sede e il Regno delle Due Sicilie, è stata eretta a diocesi e quindi è divenuta sede vescovile.

Ancora non è stato edificato l’attuale palazzo curiale del Seminario. Si pensa quindi di ospitare la sede della curia vescovile in una parte del palazzo Barile. Si vuole addirittura a creare un sovrapassaggio su vicolo Neviera e l’odierna via Pugliese Giannone che unisca la cattedrale di Santa Maria la Nova alla sede della diocesi, simile a quello esistente a Palermo sulla via Matteo Bonello che consente l’ingresso del Vescovo dalla propria residenza al duomo.

Ancora nessuno lo può sapere ma questa circostanza “religiosa” si rivelerà forse una concausa “fatale” alla nascita del Santa Sofia di Caltanissetta, in uno ad un’altra circostanza “politica” che si staglia all’orizzonte.

Il teatro sorgerà con un maestoso prospetto laterale sulla odierna via Paolo Emiliani Giudici che ha una pendenza differente da quella attuale. Il prospetto principale invece darà sul largo che ha come limite e sfondo la facciata della chiesa di Santa Croce. Guarnito di una grande timpano, sormontato da un largo frontone su cui sorge una figura femminile, accompagnata ai lati da altre due maschili, tutte a rappresentare i diversi generi teatrali come la commedia, l’umorismo, la tragedia, il dramma. Più in basso sui due lati trovano sede due muse. Quella a sinistra (verosimilmente Euterpe, musa della poesia e della lirica) tiene uno scudo su cui è raffigurato il castello tri-turrito, emblema della città.

Sarà un edificio imponente.

Il sottostante odierno piano della “Batiola”, a ridosso del carcere borbonico, consentirà la sosta delle carrozze dopo che avranno lasciato gentiluomini e dame sotto i portici di entrata a teatro. Tutto è pronto per iniziare l’edificazione. I tempi sembrano essere favorevoli per la realizzazione del teatro Santa Sofia di Caltanissetta.

A mettersi di traverso sarà quel (barbuto) di Garibaldi e le sue camicie rosse. Naturalmente lui non lo sa e non lo pensa nemmeno. La spedizione dei Mille di Quarto sappiamo cosa porterà in Sicilia e nel Regno dei Borbone. La rivoluzione è totale. Il Regno delle due Sicilie viene spazzato via. L’unità d’Italia viene proclamata il 17 marzo 1861. Pensare a un teatro intitolato alla regina di un regno che non c’è più, decaduta nemmeno un anno prima è oramai fuori da ogni pensiero. La classe dominante in città da fede borbonica, in perfetto stile locale (come in altre parti), è passata armi e bagagli a quella savoiarda.

Garibaldi è l’eroe dei due mondi.

La piazza principale da Ferdinandea passa immediatamente a piazza Garibaldi.

Una trentina di anni dopo anche lui avrà intitolato addirittura il Politeama di Palermo.

A Caltanissetta non è ancora il tempo. Il Santa Sofia è troppo compromesso con il precedente regime. E poi potrebbe non essere conveniente un teatro con attricette e ballerine a ridosso della sede vescovile.

Si deve voltare pagina

Qualche anno “sabbatico” e si torna alla carica per un teatro di città e magari più in linea con la sobrietà piemontese.

Per volontà del sindaco Antonino Sillitti Bordonaro nell’area lasciata vuota dalla demolizione della chiesa di San Giacomo, risalente al XIV secolo, sorgerà il nuovo teatro di città. Questa volta l’incarico è dato all’architetto Alfonso Barbera. Deve redigere un progetto più sobrio. Gli spazi saranno più limitati. Bisogna farsene una ragione. Tutto si svolge in poco tempo. Dalla progettazione al finanziamento passano nemmeno due anni. Nel 1870 inizia la edificazione dell’edificio teatrale in aderenza al nuovo palazzo comunale “del Carmine”. Le dimensioni perdono l’imponenza e la solennità del Santa Sofia. Nessun portico per carrozze, in stile odierno red carpet, è previsto. La profondità del teatro deve seguire quella dell’edificio comunale. Gli impianti e le macchine di scena avranno meno spazio. Nessuna metope, nessun fregio, nessun timpano, nessuna musa. Due colonne, un grande (rectius medio) portone sormontato da un balcone che segue l’ordine della finestratura del palazzo comunale basta e avanza. Del resto è (solo) un teatro “comunale”.

Il tutto viene completato nel 1873.

Nessuno pensa ad altro nome se non quello della – al momento – principessa Margherita di Savoia, consorte del futuro re d’Italia Umberto I.

Le fonti ufficiali indicano il 16 marzo 1875 come data di inaugurazione con la rappresentazione del Machbeth di Giuseppe Verdi.

La storia finisce qui.

Torniamo al nostro iniziale incipit del Birraio di Preston con cui Andrea Camilleri riprende scherzosamente l’usuale inizio dei testi redatti in maniera surreale dal divertente cane bracco Snoopy nella saga di Charlie Brown.

Andrea Camilleri procede nella narrazione romanzata di un fatto che si assume realmente accaduto nella nostra città, nel racconto indicata come Vigàta. Nel libro si fa espresso riferimento a dei fatti che si svolgono a Caltanissetta, dove un diffuso malumore popolare per il malgoverno centrale viene accresciuto dall’intervento inopportuno del prefetto Fortuzzi (il Bortuzzi del romanzo) di origine fiorentina, quindi con una mentalità molto lontana e diversa da quella dei siciliani, nel voler far rappresentare per l’inaugurazione del nuovo teatro della città l’opera lirica Il Birraio di Preston di Luigi Ricci. Il prefetto del giovane governo nazionale, incurante dei malumori locali, insiste animato da motivi strettamente personali per la rappresentazione dell’opera al fine di farne omaggio a una starlette di cui si era invaghito, imbastendo una sfida con il pubblico presente in teatro, tanto da farlo presidiare niente meno che dall’esercito.

Da qui disordini e tumulti che sfoceranno nell’incendio del teatro.

Ma questa – come al solito – è un’altra storia.

P.S.

Ringraziamenti per:

  • Architetto Giuseppe Saggio, già dirigente delle Soprintendenze ai BB.CC. di Caltanissetta e di Ragusa. Direttore dei musei di Caltagirone e Caltanissetta; per gli elaborati progettuali con allegati disegni di prospetto del teatro Santa Sofia.
  • Dott.Davide Vassallo per le notizie e i disegni relativi al teatro di Santa Sofia.
  • Agli eredi della famiglia dell’ingegnere D’Angelo di Caltanissetta.

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