L’Albero della vita, agli Angeli

Francesco Daniele Miceli
3 Min Leggere

C’è un quartiere, a Caltanissetta, che sta all’origine di tutto. Ai piedi del suo castello. È periferia, sì: non perché sia nato ai margini, ma perché il centro non si è mai allargato in cerchi concentrici. È rimasto lì dov’era, lasciando l’antico nucleo a scivolare lentamente fuori dalla mappa emotiva della città. Eppure, proprio qui, tra vicoli antichissimi, qualcosa continua a nascere.

Gli Angeli, li chiamano. Cinque anni fa, in questo quartiere dimenticato, apparve un albero colorato. Non un albero qualunque, ma un gesto collettivo: un’installazione dell’artista Lorenzo Ciulla, ricamata a mano dalle “vicoline”, le donne del vicolo San Domenico. Un segno visibile di una comunità che non voleva scomparire.

Poi, l’albero è crollato. Ma non l’idea.

Oggi quell’albero riappare, sotto una nuova forma. È rinato poche settimane fa grazie a un’azione semplice e potentissima: una cena. La dott. Michela Nicosia, direttrice del CIRS, ha voluto organizzarla proprio a Spazio Pitta, casa-museo e luogo di incontro del quartiere. Una cena realizzata interamente dai ragazzi del CIRS: mani diverse, storie diverse, unite attorno allo stesso tavolo.

Un gesto di squadra, di fiducia reciproca, di comunità concreta. L’intero ricavato è stato destinato all’acquisto dei materiali necessari alla ricostruzione dell’opera. Non solo una raccolta fondi, ma un atto educativo e simbolico: costruire insieme qualcosa che resti, che metta radici. Un atto di fiducia, prima ancora che di beneficenza.

Così è nato di nuovo l’Albero della Vita.

Abbiamo ascoltato Lorenzo Ciulla raccontarne il senso profondo:

«Il tronco d’albero è stato installato qui sopra. È stata un’installazione che abbiamo ideato nel quartiere, nata dal nulla: non esisteva ancora uno spazio aperto, non esisteva ancora un progetto di rigenerazione.

Cinque anni fa è apparso questo primo albero, un albero colorato, sempre ricamato dalle vicoline. Purtroppo, l’anno scorso è caduto.

Così il pensiero è stato quello di ricrearlo, per ridargli la stessa forma, la stessa vita, lo stesso concetto di nascita. Ecco perché si chiama l’Albero della Vita».

Dall’albero spuntano visi. Volti di ieri, di oggi, di domani. Sono gli abitanti di questa città che si riconoscono, che si specchiano in un’opera comune. In cima, lavori fatti a mano all’uncinetto, ancora una volta delle vicoline.

Qui la rigenerazione non arriva dall’alto, ma cresce dal basso, come una pianta testarda che rompe l’asfalto. C’è la parrocchia di San Domenico, con il suo presepe vivente. C’è Spazio Pitta, che custodisce memoria e futuro. E proprio in questi mesi è in corso il restauro dell’antico gasometro.

Forse è l’inizio di una nuova era. Forse no. Ma intanto, ai piedi del Castello delle Donne, un quartiere si racconta di nuovo. E invita a tornare, a perdersi nei suoi vicoletti, a ritrovare il piacere raro di camminare senza fretta, là dove tutto è cominciato.

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