Dopo la visita della Commissione Antimafia regionale a Caltanissetta, una intera giornata di audizioni in Prefettura, dalle Forze dell’Ordine alla magistratura ai Sindaci, dalle dichiarazioni che sono emerse si delinea il quadro di una provincia in cui la presenza delle cosche criminali, Casa Nostra e Stidda, sia dedita all’accumulazione primitiva dei capitali attraverso il traffico di droga, con una rete capillare che coinvolge anche molti minorenni, e al classico taglieggiamento delle attività commerciali e imprenditoriali attraverso le estorsioni.
Il presidente Cracolici ha poi evidenziato l’escalation delle armi in alcune zone: “Ci è stata segnalata una proliferazione di armi da parte soprattutto di soggetti incensurati. Questo ci deve fare alzare il livello di contrasto per capire perché c’è questa strategia di riarmamento delle famiglie mafiose”.
Una mafia che si arma quindi, ma non spara alla luce del sole, perché evidentemente non ne ha bisogno in questa fase, come nella tradizione storica della “sommersione”.
Una mafia-basic quindi, che controllerebbe il territorio sul terreno criminale classico, droga e racket, che non toccherebbe i piani alti della società civile, di cui non si riconosce la presenza nel rapporto con le pubbliche amministrazioni, se non per episodi marginali e ormai conclamati come quello del cosiddetto “sistema Resuttano” recentemente emerso con gli arresti della settimana scorsa.
Dobbiamo pensare che il fiume di denaro legato al PNRR che si sta in qualche modo riversando sul territorio attraverso gli enti locali non sia stato intercettato dai poteri criminali, che non esprimerebbero quindi un gruppo dirigente adeguato al controllo dell’economia, come ai tempi di un più noto “sistema” che attraverso l’impostura della Legalità, senza sparare, controllava il territorio in ogni sua dinamica?
O dobbiamo pensare che l’Antimafia regionale, per la sua composizione, non offra tutte quelle garanzie che permetterebbero ai soggetti consultati di parlare apertamente di tutto quanto avviene intorno alle istituzioni locali e alle dinamiche dei flussi di denaro pubblico che sono in movimento?
Persino il documento-lettera aperta al Presidente Cracolici che il PD nisseno aveva pubblicato alla vigilia delle audizioni, pur lodevole nelle intenzioni, non ha brillato per approfondimento dell’analisi, il cui punto cruciale è stata la denuncia del caporalato e dello sfruttamento agricolo, legato alla memoria di Adnan Siddique, con la citazione scontata del racket e poco altro.
Forse l’analisi del tessuto economico e imprenditoriale che avvolge la società nissena meriterebbe un aggiornamento dei dati e delle ipotesi interpretative, oltre che dei legami tra referenti politici e soggetti e famiglie, senza attendere le iniziative giudiziarie, che non si può pensare che esauriscano le attività antimafiose, né tantomeno riescano a eliminare la criminalità mafiosa dalla realtà del nostro territorio.
L‘on. Michele Mancuso, componente della Commissione, ha dichiarato in conclusione che “E’ sui giovani e sulle scuole che bisogna lavorare. E’ una questione prettamente culturale, per quanto sappiamo benissimo che il fenomeno mafioso è insidioso e entra ovunque, a cominciare dalle pubbliche amministrazioni. Però fare crescere una società civile più colta, più attenta, più informata su queste dinamiche, sicuramente ci può aiutare nel futuro”.
La lotta contro la mafia dovrebbe essere una priorità assoluta della politica, perché significa risanamento morale capillare del tessuto sociale, delle professioni, dell’economia, liberazione delle coscienze delle persone.
Ma forse di questo risanamento e di questa liberazione la politica siciliana pensa che sia autolesionista occuparsi. Andrebbe ridefinito tutto il “portafoglio clienti” dei notabili e del sistema clientele. Anche di quelli che siedono in Commissione Antimafia.