La terrazza e Belfagor
“Sempre più in alto, sempre più in alto….”. Quelle parole non riusciva a scacciarle dalla sua testa. Memore della intimazione della Lo Celso salì le scale sino in cima.
Si trovò di fronte l’ingresso di fine piano dell’ascensore. L’accesso era proibito dalla toppa diversa dalle altre inserite nelle porte al piano. Al posto della serratura per la usuale chiave ad “S” spiccava un cerchio di metallo.
L’unico a possedere il chiavistello che ne consentiva l’apertura era stato, sino a qualche tempo prima, il proprietario dell’appartamento al quarto e ultimo piano, tale Luigi Lo Piano (nomen omen), da tutti conosciuto come il signor Gino. Sempre affabile e disponibile, quando era in vita aveva aperto una piccola entrata sulla destra che consentiva, solo a lui, l’accesso dal pianerottolo al terrazzo condominiale.
Nessuno aveva osato obiettare l’abuso. Il tanto socievole signor Gino lo aveva giustificato con la comodità di potere pulire la grondaia e controllare “la catrame” che isolava il tetto dell’edificio dalla pioggia.
Alla sua morte, invero, si era scoperto sul lastrico solare un mini appartamento realizzato in profilati di alluminio anodizzato e spessi vetri fumé a tutela di una privacy dallo stesso mai reclamata in vita.
La vedova all’epoca minimizzò la cosa spiegando che quella dependance serviva al figlio che – per stare tranquillo – vi si ritirava a studiare. Nessuno però, in apparenza, era a conoscenza che quella nuova unità immobiliare veniva affittata nei fine settimana a coppiette clandestine in cerca di intimità extraconiugali.
Ciò non impedì che qualcuno in perfetto sicylian style – alla “muta-surda” – avesse fatto sapere alla vedova che il pied à terre dell’ultimo piano (come sono affascinanti gli ossimori) doveva sparire “prima di subito”.
In caso contrario si sarebbe trovata con l’inspiegabile desiderio (o necessità) di andare a cambiare da don Totò il gommista i quattro pneumatici della sua Panda, casualmente tranciati, nonché i fari della vettura che a causa dell’età si sarebbero casualmente trovati frantumati in mille pezzi.
Fu così che nell’arco di un mattino il tutto finì all’interno di un furgone del fabbro Santalfio, per la felicità del mercato semiclandestino delle ferraglie.
Di questo il commissario ufficialmente non seppe mai niente. L’importante era che si fosse stroncato “il traffico” non appena venuto alla luce. E poi non amava mischiare casa e lavoro.
Certo se la cosa avesse avuto un seguito avrebbe fatto beneficiare alla vedova, e al figlio studioso, un cambio di domicilio a spese dell’amministrazione penitenziaria.
Tornando alla missione affidatagli dalla vedova Lo Celso, Falconara stava procedendo immerso nel buio più assoluto, dovuto allo spegnimento improvviso della luce della scala condominiale, quando inaspettatamente si sentì investire i timpani da una orrenda voce spaventosa e agghiacciante.
“ Dottore cosa fa? Come mai qui sopra?”
Falconara trasalì come se gli fosse apparso Belfagor, il fantasma del Louvre, che tanto lo aveva atterrito da bambino.
Il sangue gli era diventato acqua (come erano belle le similitudini di una volta), il volto pallido, la lingua allappata per azzeramento della salivazione, le pupille dilatate, il respiro difficile. Temette pure un vergognoso cedimento dei reni.
Stava per essere aggredito da tremiti incontrollabili quando realizzò che si trattava del ragioniere Raimondo Torrearsa, il condomino dirimpettaio della vedova del signor Gino, da qualche tempo improvvisa ospite della sorella residente al nord.
Torrearsa/Belfagor sul punto di uscire per andare in ufficio si era trovato Falconara a curiosare sul pianerottolo. Aveva così voluto fare una sorpresa al commissario, mandandolo quasi al creeatore.
“Oh…. ragioniere, no grazie, non mi occorre nulla. Ero venuto a vedere dove si trova l’antenna condominiale. Ieri sera, durante il TG24, mi si è interrotto il segnale e stamattina continuo a non ricevere nulla”.
Il ragioniere lo guardò stupito, mentre negli occhi di Falconara appariva ancora la maschera dello spettro parigino in filigrana.
“Dottore ma non lo sa che l’antenna condominiale è stata eliminata da tempo? Ci sono le parabole, anzi c’erano perché adesso il segnale è digitale e come si dice ora…. è terrestre. Con le parabole era invece era… “extraterrestre”.
A quest’ultima battuta il ragioniere si lasciò andare a una risata orribile oltre ogni misura e che mostrò il proprio deserto dentale, altrettanto pauroso come il fantasma del museo egizio.
Il cortisolo continuò a invadere, in suo soccorso, il sangue di Falconara.
Continua……


