Le indagini del Commissario Falconara. 9° puntata

Lillo Ariosto
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Il ritorno di Beniamino

Raccolse il piccolo felino e se lo portò in braccio, accostandolo al suo torace. Beniamino non aspettava altro. Da gatto domestico, in più con le cure della vedova Lo Celso, fuori di casa per troppo tempo non era cosa sua. E poi Falconara anche se provava – e per lavoro doveva provarci – a fare il duro aveva “un cuore di panna….. e pure di cioccolata”. Di duro, nella sua vita privata, aveva semmai il tipo di cioccolata, che preferiva fondente al settantacinque percento. Ne andava matto. La serotonina che liberava nel suo organismo la quotidiana tavoletta di ottanta grammi di fondente, dose giornaliera che si “ammuccava” tra mezzogiorno e il vespro, costituiva il suo antidepressivo naturale.

Attraversò il baglio ammantato di asfalto che aveva fatto da “cover” all’originale basolato calcareo, con buona pace della locale Soprintendenza ai beni culturali e imboccò quello che una volta era stato lo scalone padronale del palazzetto. Si piazzò davanti la porta dell’ascensore, installato con tutte le autorizzazioni di legge, e attese che fermasse la sua discesa dal quarto piano, come segnalava la freccia rossa (a Calatorre solo questa c’era, perché il treno veloce con lo stesso nome neanche si conosceva). Il lampeggiare del dardo vermiglio dopo una decina di secondi si arrestò.

La porta automatica si aprì e davanti a Falconara apparve la vedova Lo Celso.

“Michia di re!” (si perdoni la regionalità della imprecazione).

Allora lei c’è l’aveva Beniamino. Lei lo aveva rapito e non aveva il coraggio di dirmelo. Faceva tragedia. Tragedia faceva in casa mia. Tutto addolorato si cerneva mentre il gatto ce lo aveva lui. Scommessa che lo ha portato dal medico degli animali per farlo castrare al mio mascolo di casa. Io gli chiedo il risarcimento dei danni. Maria, Maria, Maria…..

Senza minchia mi lassò il gatto!

La vedova sembrava impazzita, farneticante, totalmente fuori controllo. Falconara non riusciva a bloccare l’ira funesta di quella che per un paio di giorni era stata l’ex padrona del gatto. Più cercava di calmarla, più quella eruttava ceneri e lapilli sonori all’indirizzo del povero commissario. Ci fu un attimo in cui pensò di sfoderare la Beretta 92 di ordinanza e sparare un colpo in aria. Si immaginò come Clint Eastwood nel commissario Callaghan ma, per fortuna, quell’insensato lampo cadde molto lontano dalla sua mente e riprese il controllo della situazione, sbattendo sull’abbondante petto della Lo Celso il povero Beniamino.

Ci volle l’intervento del piccolo lentigginoso Giovanni, il “trovatore” – si scoprirà qualche giorno appresso – di collane. che prontamente gridò all’indirizzo della vedova.

“Signora Lo Celso, la vuole finire di buttare voci? Il commissario le stava portando il gatto che avevamo visto e che abbiamo adottato in cortile.

Lui ha salvato Beniamino dal cane che lo voleva sbranare”.

Falconara non sapeva se essere sbalordito per la tragedia che poco prima aveva creato la Lo Celso o per la prontezza di spirito del ragazzino che aveva inventato di sana pianta l’impresa eroica del salvataggio di Beniamino dal cane.

Quello che era sicuro e che il “gran simpatico”, inteso come sistema neurovegetativo, stava facendo il proprio dovere, evitando la naturale reazione a situazioni stressanti con risposta – come da manuale di fisiologia umana – “di lotta e di combattimento”. Di colpo – come la comparsa dell’arcobaleno dopo un temporale – la situazione si capovolse e improvvisamente la vedova Lo Celso si attaccò a Falconara, abbracciandolo e baciandolo tutto, accarezzando prima lui e poi il gatto e un istante dopo prima il gatto e poi lui.

Falconara oramai era in balia degli eventi. Per un momento sembrò sdoppiarsi. Si (ri)vide, ridente, da dietro la vedova Lo Celso. Da lì gli appariva un Falconara frastornato, rintronato, confuso. Basta. Non poteva permetterlo. Non si poteva andare oltre. Era pur sempre un dirigente della questura. Recuperò il controllo. Ritornò ad essere lo sbirro “cornuto” come sapeva essere e con piglio di comando bloccò tutti con un roboante

  • Altolà! Signora mi scusi ma lei il gatto adesso non può riaverlo. Deve venire in questura. Dobbiamo fare il verbale di consegna. Tutto deve essere in regola. Mi deve fornire le generalità. Il codice fiscale. Il certificato di vaccinazione. Il certificato di residenza, quello di matrimonio e…. l’ultima dichiarazione dei redditi”.

Le parti si erano invertite. Adesso era la vedova Lo Celso che sembrava rintronata. Gli era riapparso il solido e possente commissario della Polizia di Stato. Sguardo severo, voce ferma, fisico asciutto e possente. Comprese che la pacchia era finita. Se voleva riavere Beniamino doveva fare tutto quello che diceva il dottore Falconara (nella mente della vedova, Falconara era ritornato ad essere l’Autorità costituita). Una cosa sola si lasciò scappare.

-“Mi scusi dottore ma che c’entra la dichiarazione dei redditi?

Falconara con sguardo di rimprovero, proclamò di rimando.

“C’entra, c’entra. Eccome se c’entra. Dobbiamo sapere se le sue fonti di reddito le permettono di mantenere degnamente questo povero gatto. L’animale non può rischiare di soffrire la fame e la sete. Deve dare prova che lei, vedova e pensionata, possa assicurare un degno vivere al piccolo Beniamino. Insomma che sia in grado di provvedere “agli alimenti”.

La vedova Lo Celso non fece bizz… Si ingattò e salì muta e pensosa in ascensore, convinta di andare a preparare tutti quei documenti che gli erano stati intimati da Falconara. Pure la dichiarazione dei redditi.

“Missione conclusa”.

Borbottò, trionfante, Falconara. Anche se, un attimo dopo, non si spiegò quell’assolutamente insensato riferimento all’assegno divorzile… “per gli alimenti”. Una sciocchezza, nella sciocchezza. Auspicò che la vedova non se lo lasciasse sfuggire in questura. Almeno così sperò. Naturalmente non sapeva quello che sarebbe successo.

Continua……

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