Donna, culturalmente emancipata, giornalista, scrittrice, anticipatrice delle istanze femministe
Nel provincialismo tutto siciliano Caltanissetta – fra lo sdegnoso e lo sfottò – viene a volte appellata “Maonza” (Magonza). L’origine dell’epiteto viene ricondotta al conflitto che nel 1820 vide i seguaci del principe Galletti, signore in San Cataldo, contro Caltanissetta. La sua istituzione come Citta Capovalle, con la Costituzione Anglo-Siciliana del 1812, aveva destato rivalità locali, su cui soffiò la contingente Giunta rivoluzionaria di Palermo.
Magonza – invero – non è altro che Mainz, la città della Germania centro-occidentale, capoluogo del Land della Renania-Palatinato, celebre per avere dato i natali a Johannes Gutemberg, l’inventore del moderno metodo di stampa che ha consentito l’alfabetizzazione nel mondo.
Non è quindi forse un caso che Caltanissetta sia stata una città di grandi scrittori e letterati. Fra essi una donna: Elvira Mancuso. Elvira Fortunata Maria Giuseppa Mancuso Lima nasce a Caltanissetta il 15 dicembre 1867 da Giuseppe Mancuso Lima, famoso avvocato penalista, libertario e patriota della prima ora, e Rosa Rocchetti.
I suoi genitori si sposano due anni dopo, il 23 agosto 1869. Avevano riconosciuta Elvira al momento della nascita, riconfermandone in sede di matrimonio quella che allora veniva per il diritto ritenuta la legittimità.
Completati gli studi secondari deve lottare per iscriversi all’università. Frequenta la Regia Università di Palermo. Si laurea in Lettere. Entra come maestra nella scuola e vi rimane fino al 1935, insegnando anche nella scuola di via Re d’Italia dove avevano sede le scuole tecniche.
Elvira Mancuso appartiene a quella schiera di scrittrici italiane di cui poco o nulla si conosce e meno ancora si parla. Di estrazione alto-borghese, può essere considerata una femminista ante litteram, sia per le proprie scelte di vita, sia per la pratica della scrittura che aspira alla parità dei sessi.
Lotta contro la condizione della donna in Sicilia, in un’epoca in cui le sporadiche opportunità di istruzione e di crescita intellettuale femminile vengono spesso condannate come immorali e sovversive.
Pone la sua libertà e la sua autonomia al di sopra di tutto. Rifiuta di sposarsi. L’istruzione diviene il suo pilastro. Da insegnante lotta affinché le bambine possano studiare allo stesso modo dei maschi, consapevole che solo la conoscenza può diventare speranza di emancipazione e affrancamento da un destino compilato da altri.
Comincia a scrivere nel 1889, collaborando per la rivista “Cornelia”. La giovane Mancuso vi pubblica nel 1889 il suo primo racconto “Storia vera”. Seguiranno quattordici articoli usciti tra il 1890 e il 1891 e firmati alternativamente con gli pseudonimi di Lucia Vermanos e Ruggero Torres. Soltanto dopo sedici anni di assenza dalla testata uscirà l’ultimo suo articolo firmato con il proprio nome.
Nel 1906 una Mancuso letterariamente matura dà alle stampe “Annuzza la maestrina,” opera di respiro verista, con grandi connotazioni autobiografiche che non troverà al momento il giusto successo.
Il romanzo narra la lotta personale di Annuzza Milazzo, nata a Pietraperzia da una famiglia povera ma determinata a diventare maestra e a ribellarsi contro una società in cui pregiudizi radicati costringono e mortificano le donne entro i ruoli di moglie e madre. Come Annuzza, anche Elvira persegue l’affermazione di sé e considera il lavoro come l’unica strada verso il riscatto personale e sociale.
Annuzza-Elvira esprime tutta la sua avversione e il rifiuto verso la condizione della donna, determinata dal sistema etico e morale dell’epoca in Sicilia che avverte come mortificante e opprimente la sensibilità e dignità della stessa.
In Annuzza la maestrina l’analisi psicologica del dolore e del desiderio di emancipazione si esprime con i soliloqui della protagonista, impegnata in una presa di coscienza di cui il lettore si rende inconsapevolmente ed emotivamente partecipe.
E’ un romanzo che, seppure di tardiva affermazione, rimane un’opera fondamentale per la letteratura siciliana del tempo. Pur anticipando le tematiche “femministe” sposate poi dai grandi narratori italiani, viene accolto tiepidamente dalla critica dell’epoca, con un Capuana che scriverà di “una dipintura della vita siciliana energicamente resa…) nonostante le inevitabili incertezze e inesperienze di un primo tentativo”.
Sarà nei primi anni Ottanta che verrà riscoperto da Calvino e Sciascia. L’opera viene (ri)pubblicata nel 1990 da Sellerio, anche se con il titolo cambiato in “Vecchia storia…inverosimile”.
Durante i primi decenni del Novecento Elvira Mancuso scrive poesie e racconti, spesso proseguendo l’analisi della società siciliana attraverso la denuncia reiterata di una femminilità tradizionale, come testimoniano i versi di Rèsede e ortiche (1906) e la raccolta Bagatelle (1909).
In questo quadro, diventa secondaria la questione di un eventuale inserimento dell’autrice nel canone siciliano, perché la sua personale evoluzione si lega più intensamente a una stagione in cui le scrittrici del Novecento iniziano a tracciare itinerari personali alternativi, anche di carattere apertamente politico.
Con sguardo lucido e intuitivo, nel 1907 pubblica un pamphlet dal titolo “Sulla condizione della donna borghese in Sicilia”. Vi sono appunti e riflessioni dove, con toni spesso sarcastici e provocatori, delinea la propria appassionata critica alla discriminazione storica femminile su cui si basa la cultura isolana.
Scrive:“Ebbene, da tutte le conquiste della borghesia, la donna siciliana non ha ricavato che il magro conforto di servire un padrone più libero, più potente, più lieto di vivere. Ella è rimasta, intellettualmente, assai inferiore all’uomo, e la coscienza di questa sua inferiorità la rende sì umile, che la sua perenne sottomissione, il sacrificio continuo dei suoi diritti, della sua personalità, le sembrano cose fatali e necessarie, ordinate dalla natura e da Dio. E l’uomo che la governa e la opprime, e ne pretende i più ingiusti, assurdi sacrifici, è assai sovente in buona fede, perché anche lui convinto che la donna è una creatura inferiore, incosciente, irresponsabile, una specie di graziosa bestiolina unicamente nata per servire e sollazzare il suo padrone”. E’ il suo manifesto ideologico.
Durante il fascismo vive appartata, dedicandosi all’insegnamento, alla lettura e alla scrittura di saggi pedagogici, senza partecipare alle attività culturali del regime, pur essendo una delle poche donne laureate in città.
Negli ultimi anni della sua lunga esistenza abiterà presso il monastero delle Clarisse.
Muore a Caltanissetta l’11 febbraio 1958. Pochi la conoscono.

