Letterati e poeti. Conoscitori di testi sacri
Tra le famiglie nobili di Caltanissetta, oggi dimenticate, un posto particolare merita quella degli Auristuto e Barresi (quest’ultimo patronimico nel tempo risulterà abbandonato).
Il più celebre degli Auristuto è certamente Mariano, il capostipite, padre di Aurelio e di Michele.
Nato a Caltanissetta, l’8 dicembre del 1688, da Nicolò e da Petronilla Barresi, entrambi nobili. Del padre Nicolò gli storici del tempo ricordano la sua grande padronanza nella poesia siciliana.
Mariano si rivela sin dalla giovane età dedito agli studi letterari, alla conoscenza dei testi sacri e alla comprensione delle leggi della natura. Dotato di una memoria dai suoi contemporanei definita “prodigiosa” conosce perfettamente il greco e l’ebraico.
Mostra grande attaccamento alla causa caltanissettese, sottoscrivendo con i figli la petizione del 1756 diretta al re, approntata dal ceto nobile e dal notabilato locale, per la reintegrazione al demanio della città di Caltanissetta, sottraendola al dominio pluricentenario dei Moncada.
Con lo pseudonimo di “Dissonante” entra a far parte della Accademia dei Notturni. Le sue doti di cultore della poesia e delle scienze naturali si mostrano nella sua opera magna “Le Meraviglie nella Metamorfosi della Primavera in Verno accaduta nel sacro giorno della Morte di Gesù Cristo”.
Nella stessa si rivelano le profonde conoscenze di Mariano Auristuto nel campo dei testi sacri. L’opera inizia con un elogio alla Vergine Maria, tessendone le lodi attraverso il richiamo di una moltitudine di testi sacri dei Santi Padri, di numerosi espositori del Vecchio e del Nuovo Testamento, attingendo alle fonti dei mitologi cristiani, non ignorando anche i pagani Vaticini delle Sibille.
L’opera è forse “troppo maestosa”, sconfinando anche in descrizioni geografiche commiste a singolari interpretazioni e relazioni fra luoghi di Caltanissetta e la passione di Cristo. In tal senso va interpretata la descrizione che Mariano Auristuto fa della spaccatura presente sui resti di una torre scavata nella roccia appartenente a quello che era stato il Castello di Pietrarossa.
Dello stesso descrive altre forme e segni di antichità, ponendo l’accento sulle iscrizioni con lettere e cifre del vecchio alfabeto greco-siculo presenti sui conci dei quattro cantoni della Chiesa di Santa Maria degli Angeli annessa la maniero.
Il suo linguaggio nell’opera è il prodotto di sapiente combinazione di figure retoriche, perifrasi artificiose, con l’utilizzo alternato di termini lunghi e brevi, in modo da generare quella che i critici del tempo definiranno “la larga onda armonica”.
Nel “Dizionario topografico della Sicilia” viene indicato come uno “fra gli uomini viventi degno di rinomanza, poeta ingegnosissimo, versato grandemente nelle Sacre Scritture e nella loro storia” .
Nel 1769 viene colpito dal grave lutto per la perdita del figlio Aurelio. Questi sin dalla giovinezza si era mostrato incline agli studi classici e di legge, raggiungendo la laurea di “iurisprudentiae doctor”. Rinomata la sua attività di giureconsulto cui univa anche le doti, ereditate dal padre, di grande cultore e autore nella poesia.
Celebre l’elogio che di lui ne farà Camillo Genovese. Mariano, pur se distrutto dal dolore per la grave perdita, anche in avanzata età, dimostra fermezza e risolutezza allorché si trova ad affrontare dispute e ragionamenti in fatto di religione e di testi sacri. Si racconta della disputa da lui avuta con un padre valdese, ospite momentaneo nel convento di San Domenico.
L’Auristuto viene chiamato a fronteggiare le disquisizioni religiose del religioso da due frati del convento, i fratelli Anzalone, che seppure eruditissimi non riescono a fronteggiare le argomentazioni e i riferimenti ai testi religiosi del seguace di Pietro Valdo. Si racconta che la controversia dottrinale e religiosa si condusse per due giorni di seguito, senza interruzione alcuna, vedendo Mariano Auristuto impegnato a confutare i ragionamenti che il valdese tendeva ad affermare, rapportandosi ai sacri testi di cui era profondo conoscitore, sino a portarlo a cessare dal suo intento di mostrare la superiorità del credo nato dal riformatore di Lione.
Si vuole che la controversia sia stata così dura e agguerrita che l’Auristuto, pur uscendone vincitore, ne risentirà in salute. I suoi contemporanei parlano di una forte bronchite, tanto da “trarlo al sepolcro” nel 1769, alla età veneranda di 81 anni.
Di lui, per molto tempo, si conserverà il nome nelle campagne. Sino a fine Ottocento con il nome della “Salita dell’Auristuto”, si intenderà il percorso che dal centro abitato raggiungeva il monte San Giuliano. Ci sarà anche la “via dell’Auristuto”, che a metà costa del monte San Giuliano giungeva al Firrio e poi ancora alla nazionale fino alla contrada di Santa Lucia, nonché la “Balata dell’Auristuto”, un rilievo a metà strada dell’iter dal Firrio e Santa Lucia.
In città, sino alla prima metà dell’800, ci sono state le “Case dell’Auristuto”, dal 1858 inglobate in quello che oggi è il palazzo Sillitti-Bordonaro, la cui facciata venne realizzata dall’architetto Di Bartolo di Terranova. Oggi a cantone dell’edificio, perpendicolare al corso Umberto, all’altezza dell’omonimo monumento in bronzo, si trova la via Auristuto.

