“E luce ha per confine”
Architetto, docente, pittore, scrittore, filosofo dell’architettura. Nato a Caltanissetta
Nella Caltanissetta di oggi sembra che molte cose non siano al loro posto. Ci si lamenta del nuovo tessuto sociale con la presenza di una umanità proveniente da aree non comunitarie. Ci si continua a macerare su opportunità lasciate andare senza averle colte. Ci si compiange per lo stato del centro storico.
Invero su quest’ultimo aspetto bisognerebbe operare una più serena riflessione. Caltanissetta conserva tutt’ora un patrimonio edilizio-urbanistico di gran lunga migliore rispetto ad altri centri. Il rispetto degli strumenti urbanistici è stato sostanzialmente mantenuto nel tempo. Il decoro edilzio, sino ad oggi, è un valore insito in città.
Tutto questo è forse frutto di una fidata tradizione architettonica che si coglie nelle facciate dei palazzi nobiliari e nelle opere di ristrutturazione e recupero di edifici a vocazione pubblica.
Abbiamo già illustrato la figura di un grande architetto di origine caltanissettese, Enrico Calandra. Tratteremo qui di un suo allievo, Salvatore Cardella, senza ombra di dubbio una delle figure più singolari del panorama progettuale, accademico e artistico della prima metà del secolo scorso in Sicilia.
Cardella nasce a Caltanissetta il 24 giugno del 1896. Dopo avere compiuto gli studi superiori si sposta a Palermo per frequentare la Regia Scuola di Applicazione per Ingegneri e Architetti, dove si laurea nel dicembre 1918, anno in cui si diploma anche nel Corso Speciale di Architettura presso l’Accademia di Belle Arti di Palermo, istituzioni entrambe dirette da Ernesto Basile, del quale sarà anche assistente. Diventa altresì assistente, come già Enrico Calandra, di Antonio Zanca e Michele Albeggiani.
Giovanissimo, nel 1932, Cardella consegue la libera docenza in Architettura Elementare e Disegno, subentrando lo stesso anno alla cattedra fin lì tenuta dal suo maestro Zanca e divenendo, nel 1944, il primo docente della neofondata Facoltà di Architettura mentre gli angloamericani ancora combattono nel resto del paese. Vi insegna Composizione Architettonica, cattedra che manterrà fino al congedo dall’Ateneo, che avverrà nel 1966.
Rivestirà pure la carica di Presidente dell’Ordine degli Architetti di Sicilia dal 1944 al 1951. La sua brillante carriera accademica è affiancata da una ricca produzione architettonica e pittorica e da numerosi scritti sul tema del rinnovamento dell’architettura e sulla ricerca di un nuovo linguaggio espressivo coerente con il mutare della società e della cultura nel tempo.
Consapevole della lezione dei suoi maestri e profondo conoscitore della storia dell’architettura e dell’arte, Cardella – nella sua carriera – saprà cogliere gli elementi fondamentali da cui partire per comunicare con un codice nuovo e sempre “alto”, sempre “colto” e per questo non sempre pronto ad essere compreso.
Cardella si fa interprete del Futurismo in Sicilia, dove vive un’intensa stagione di creatività interdisciplinare a partire dall’immediato primo dopoguerra. In un clima culturale certamente non più propositivo, come nella tarda Belle Èpoque, si colloca nella ristretta compagine di pittori, scultori, poeti, musicisti, giornalisti e scrittori che rilanciano quei particolari segnali di tensione artistica che, a ridosso del primo conflitto mondiale, mostrano affinità con la rivoluzione estetica del Movimento Futurista.
In questo contesto artistico dinamico, anche se alquanto eterogeneo ed evanescente, Salvatore Cardella si mostra come l’unico fra gli architetti e gli ingegneri formatisi in Sicilia a maturare un’autonoma esperienza progettuale di orientamento futurista, anche se affetta da inquietudini e derive compromissorie col modernismo
La sua visione architettonica – a prima vista mutevole – trova conferma nelle istanze formali, estetiche e concettuali da lui perseguite. In alcuni casi si mostra “monumentale” ancor prima che il Fascismo faccia il suo esordio sulla scena culturale italiana. Manifesta questa sua personale cifra artistica già nel 1922, nel progetto dato per il concorso per la realizzazione dell’Imbocco Monumentale della via Roma a Palermo.
“E luce ha per confine”. È questo il motto con cui Salvatore Cardella partecipa al concorso.
Al bando aderiranno i fratelli Roberto e Giovan Battista Filippo jr Basile, Giuseppe Spatrisano, Giuseppe Capitò, tutti allievi della Scuola Basiliana di Palermo.
Definito spesso dalla critica “barocchetto classicheggiante” il progetto verrà realizzato dieci anni dopo la vittoria concorsuale. Vedrà però diverse soluzioni di alleggerimento, in special modo rispetto al mutato gusto Littorio nei confronti di un più austero sistema decorativo.
Dopo il necessario ripensamento si caratterizza per la rigidità compositiva di un sistema di impaginato dei prospetti dalla forte presenza monumentale, ben distinto per mole e cromatismi dagli edifici circostanti. Appare forse come un adeguamento alle linee di pensiero date da Arduino Colasanti critico esigente, Gustavo Giovannoni preside e fondatore della Scuola di Architettura di Roma, Antonio Zanca e Salvatore Caronia Roberti. Questi ultimi, entrambi pilastri dell’establishment accademico palermitano, si rivelano poco inclini a slanci in avanti rispetto ad un linguaggio da esaltare come ufficiale e inderogabile codice espressivo “nazionale”.
Cardella di contro avverte tensioni emotive avanguardistiche e va oltre codici espressivi già rodati.

Progetto dell’Ingresso monumentale di via Roma a Palermo, 1923
Come commentato dall’architetto Margherita Lo Iacono, curatrice del “Fondo dell’Archivio Cardella”, in quel progetto l’autore immagina uno scorrere cadenzato e costante di portici al piano terra da cui si dipartono i due piani superiori stretti da volumi cantonali a sporgere rispetto al piano di gronda in piena lezione Basiliana, in cui si esaltano per luogo e altezza i due torrioni che sembrano spiccare il volo in posizione lievemente arretrata rispetto al filo strada.
Si respira a tratti un’aria medievaleggiante ma la misura stilistica più prossima al linguaggio adottato dal giovanissimo “Archistar” nisseno, è di matrice neo-secessionista.
Dagli schizzi ritrovati è possibile analizzare con estremo rigore la genesi del processo creativo del grande architetto. Sono proprio i disegni per il concorso, acquerellati con magistrale esecuzione, a restituire l’evidenza della dimensione dell’artista (prima ancora dell’architetto) capace di piegare la tecnica pittorica al messaggio dell’architettura strutturata intorno ad un rigoroso e autonomo pensiero teorico-filosofico innovativo e seducente.
Se il progetto originale di Cardella avesse visto la luce, oggi Palermo avrebbe un capolavoro di respiro europeo polimaterico e policromatico molto vicino alle sperimentazioni secessioniste di Joseph Maria Olbrich. Nel capoluogo siciliano ci sarebbe una testimonianza del messaggio fortemente intriso da quello spirito poetico che seppe animare nel primo Novecento questo grande umanista prestato all’architettura e all’arte e a cui finalmente si comincia a tributare il giusto riconoscimento di critica attraverso letture coerenti e in linea con lo straordinario e inedito materiale d’archivio.
Cardella attraversa la parentesi littoria fondendovi la personale adesione al primo Razionalismo italiano e proseguendo nell’immediato dopoguerra tra picchi di Neorealismo e Organicismo di matrice Wrightiana, esemplificate nel progetto della romana “Casa Cardella”.

Casa Cardella in costruzione a Roma, primi anni ‘60
Singolare della poliedricità del personaggio è la suggestiva produzione artistica, già declinata nelle opere architettoniche, relativa alla grafica, alle caricature e soprattutto alla pittura.
Recenti scoperte fatte sempre presso il “Fondo dell’Archivio Cardella” hanno messo in luce la straordinaria dimensione compositiva di quanto da lui concepito, testimoniata dal corposo epistolario e dai plastici di alcune sue opere.
I suoi carteggi e le sue corrispondenze con esponenti della cultura italiana del suo tempo come Argan, Piacentini, Samonà ed altri, presenti nel proprio archivio, sono stati recentemente oggetto di un riordino a cura delle migliori menti architettoniche italiane e non solo.
Lo scambio di queste corrispondenze evidenzia il grande fermento culturale nel quale Cardella ha cercato la nuova via dell’arte e dell’architettura. La distinzione tra edilizia e architettura che fa nel suo scritto “Il travaglio e la meta della nuova architettura” del 1945 è esemplificativa della sua teorizzazione e della sua visione dell’atto creativo come “atto spirituale” nel quale, attraverso la materia, si concretizza “l’ideale universale ed eterno”.
Scrive Cardella: “Se viene ormai concordemente riconosciuto che l’edilizia e l’architettura non sono attività tra loro indipendenti, bisogna tuttavia ribadire che l’architettura non può mai identificarsi con l’edilizia …passando all’opera di architettura bisogna metodicamente porre, accanto ai problemi statici e funzionali, ancora quello spirituale e quello espressivo”.
Le sue opere architettoniche realizzate a Palermo, Caltanissetta, Enna, Gela, Ragusa e Roma sono sintesi perfetta del suo ideale di architettura.
Cardella a Palermo è ideatore del Padiglione della Meccanica alla Fiera del Mediterraneo, della Casa Castro e della sopraelevazione del Palazzo Di Martino nel quartiere Libertà, del progetto originario del Banco di Sicilia di via Ruggero Settimo, di una porzione del quartiere INA Casa di via Notarbartolo.
A Caltanissetta è autore di due imponenti edifici in stile razionalista nel nuovo asse viario di viale Regina Margherita, la Casa Littoria – oggi Palazzo degli Uffici Finanziari – e il Palazzo Provinciale degli Studi, così ideato come prodromico a una grande stagione immaginaria includente la possibile istituzione accademica in città e oggi attuale sede dell’Istituto Mario Rapisardi.
Suo anche il progetto per la sede del Genio Civile e della (purtroppo andata perduta negli anni ’80) particolare e affascinante Clinica Ballati – in via Rosso di San Secondo – dai contrassegni e dai richiami “basiliani”.

Clinica Ballati, Caltanissetta anni ‘30
A Gela, suoi sono i grandi interventi del nuovo Palazzo Municipale o Palazzo di Citta, inaugurato nei primi anni ‘50, voluto dal ministro Salvatore Aldisio, con la facciata rivestita con lastre piatte di pietra di Comiso, lavorate a bocciarda che conferiscono l’effetto di una grande luminosità rivolta al mare. Suo anche il progetto della originale Chiesa di San Giacomo, nonché quello del rinnovato ingresso del Giardino Comunale.


Chiesa di San Giacomo, Gela.
Tra le altre sue opere più significative la Tomba Martorana nel cimitero di Casteldaccia, il Palazzo del Banco di Sicilia ed INA ad Enna.

“Estremo Chiarore”, 1925
Uno dei suoi dipinti più raffinati, “Estremo chiarore” del 1925, menzionato in molte riviste e giornali del tempo, è stato a lungo esposto presso la Galleria d’Arte Moderna “Empedocle Restivo” a Palermo. Qui vi morirà il 15 settembre del 1973.
