“Il timore di Dio è principio di ogni sapienza”. Mi sono sempre chiesto cosa significasse la frase scolpita sul prospetto di una casa del centro storico di Mussomeli, al di là dell’essere credenti o non credenti.
Per me è chiaro il significato teologico, filosofico ed etico di quella frase apposta lì, probabilmente per convinzione religiosa. Quando l’uomo si crede l’Assoluto, si crede Dio, si crede perfetto ed onnisciente rischia di diventare pazzo e di fare del male a sé stesso e agli altri. Dio svolge quella che Lacan chiamava la “funzione paterna”, metafora metafisica e simbolica di una regola condivisa, di un limite psicologico che argina il reale impazzito, la pulsione caotica ed anarchica di una civiltà traumatizzata.
L’onnipotenza non può essere umana perché l’uomo è mortale e limitato. Narcisismo malato, delirio paranoico o qualsiasi altra fuga dalla realtà pongono una questione allarmante: l’assenza di una consapevolezza concreta e reale dei soggetti decisori.
L’ho sempre detto ai tanti politici che ho conosciuto che “Sic transit gloria mundi”, che siamo tutti di passaggio su questa terra. Nella Storia umana, anche per un lungo periodo, il buon senso della minoranza non è stato quello della maggioranza deviata.
Passa il tempo e il buon senso della minoranza diventa maggioranza. Il buon senso se è ragionevole ed è riferito alle cose della realtà. Ci vuole, quindi, l’idea di un Dio principio spirituale che ci ricorda la nostra limitatezza umana, quali soggetti relativi che sanno di non essere l’Assoluto, sperando nella loro libera accortezza.
Quando arriva la scure della rassegnazione possiamo dire che non c’è futuro e che nulla si può progettare. A me sembra che da diverso tempo e per qualsiasi provvedimento politico preso non si ha voglia di riflettere. Preoccupa la passività e l’assenza dei cittadini e dei tanti che scambiano la cultura, coscienza critica della realtà, con il supermercato dei regali materiali e delle blandizie da macchietta, quando si fa da pupi e da pupari.
La produzione culturale è un’attività dello spirito e senza la presenza spirituale ci può essere il motto di spirito, la risata e l’ironia dello spirito. Cosa apprezzabile ma che non richiede un grande sforzo di riflessione! E poi ci chiediamo dove è finito il mondo? E dove doveva finire: nella pattumiera dell’esibizionismo teatrale!
Penso spesso a Leonardo Sciascia e al suo modo “disincantato” di vedere e di raccontare le cose di Sicilia, tra la terra natia e la Parigi illuminista di Voltaire.
Molti hanno costruito i loro profili e le loro carriere antimafia “nascondendo” i loro affari e le loro corruzioni politiche, la loro mafiosità camuffata di antimafia. Di tale pericolo, molti anni fa, avevano parlato Borsellino e Falcone, precisando con chiarezza che l’antimafia non può essere una passerella di scritti e di proclami strombazzati, qui e là, anche a caso!
L’antimafia è prima di tutto una disposizione personale dell’interiorità perché Dio non può essere mischiato e confuso con mammona! O più semplicemente, senza l’onestà intellettuale e l’etica laica della responsabilità non può esserci un’antimafia credibile, testimoniata con atti e comportamenti adeguati e coerenti.
Essere “imperfetti” non può significare la connivenza con taluni ambienti o essere solidali con l’andazzo generale dell’affarismo corrotto. Noi non crediamo alla purezza redentiva delle apparenze, perché il vero perdono è un fatto molto privato e soggettivo che gli altri non devono sapere.
Ricordando Benedetto Croce e la sua veritiera affermazione “non possiamo non dirci cristiani”, diffidiamo dal facile perdonismo della società che non è il rigore etico del perdono, tale da mettere insieme credenti e non credenti, laici e religiosi.
Il perdono e la pietà umana ci fanno capire lo sfregio fatto alla convivenza civile nel nome di una malcelata antropologia dei “vantaggi personali”, con l’insuperabile credo messianico “che tutto è possibile”, perché le nostre libertà sono sacre e inviolabili, nuovi dogmi di un libertinaggio senza legge e senza fede etica.
Tonino Calà
