S. Caterina: intitolata la sala polifunzionale del Comune a Filippa Pantano, fondatrice del movimento delle ricamatrici

redazione
redazione 273 Views
5 Min Leggere

Il Comune di S. Caterina Villarmosa ricorda oggi 22 marzo alle 17,30, con un atto solenne Filippa Pantano, una sua cittadina che si è distinta, nella seconda metà del ‘900, per impegno civile in difesa dei diritti delle donne e delle lavoratrici a domicilio. Ne ricorderanno l’impegno il Sindaco Giuseppe Ippolito, l’assessora alla cultura Palmina Lo Re, la scrittrice Ester Rizzo autrice del romanzo “Le ricamatrici” ispirato alla storia di Filippa, Ester Vitale (portavoce di Onde Donneinmovimento), Loredana Rosa (associazione Governo di Lei), Filippo Nicoletti e le figlie di Filippa, Orsola e Pina Rotondo, che ne hanno proseguito le battaglie e ne tramandano la memoria.

Ricamavano tutte, le donne di S. Caterina, davanti alla porta di casa e a consumarsi gli occhi fino a notte: dalle loro mani uscivano capolavori di ricamo e pizzo chiacchierino che finivano nei negozi del nord come “ricami fiorentini” per i corredi di lusso, venduti a prezzi altissimi. Ma a loro venivano pagati poche centinaia di lire al giorno dopo12 ore di lavoro, lavoro nero.

Non conoscevano neppure i loro committenti, di Agrigento e di Palermo, che avevano le “basi” in paese: intermediari e commercianti che ritiravano i lavori finiti e consegnavano materiali e ordinazioni per i nuovi, e spesso pagavano con merci dei loro negozi, come il vecchio truck-system che strozzava gli zolfatari, con un utile in più per i mediatori e un taglio al salario già povero delle ricamatrici.

Sembrava un destino scontato, in quel paese svuotato dall’emigrazione, in cui le donne vivevano da sole, aspettando i mariti all’estero. Ma alla fine degli anni ’60 una di quelle famiglie ritorna dalla Germania, con tre donne coraggiose che non accettano più il lavoro nero: Filippa Pantano con le figlie Pina e Orsola Rotondo, e cominciano a tessere una rete tra tutte le donne al lavoro nell’ombra.

Da S. Caterina parte un movimento che si diffonde in tutta la Sicilia, da dove emerge, con l’aiuto del sindacato, una rete di lavoro a domicilio impensabile, estesa, soffocante. Più di 50 anni fa, nel 1972, si costituisce la prima Lega delle Ricamatrici: 875 donne in un paese di 8.500 abitanti. Arrivano in Sicilia gli inviati dei grandi giornali che raccontano all’Italia una pagina di storia che sembrava uscita dai romanzi dell’800, e si presenta alla Camera una proposta di legge sul lavoro a domicilio (diffuso in tutto il Meridione) per aggiornare le vecchie norme e le sanzioni, peraltro mai applicate.

Mille ricamatrici sfileranno in corteo a Palermo per chiederne l’approvazione, e il 14 ottobre 1973 la legge n.877 sarà approvata, con norme chiare per fare uscire dall’ombra i datori di lavoro e garantire alle donne diritti e tutela della maternità.

Le ricamatrici non si fermano: portano in Tribunale intermediari e committenti, che incassano condanne a pene detentive e pecuniarie. Ma arriva la ritorsione: il blocco delle ordinazioni; e allora le donne fondano una cooperativa, “La rosa rossa”, il simbolo che avevano ricamato sulle loro bandiere bianche nelle manifestazioni.

Una grande ditta del nord vuole commissionare dei lavori e le ricamatrici producono un campionario del meglio della loro sapienza artigiana: ma emerge un retroscena inquietante. La ditta lo respinge come inadeguato ai propri standard e le donne scoprono, andate a Milano in delegazione, che i lavori sono arrivati sgualciti, macchiati, rovinati. Una mano criminale aveva dato seguito alle minacce, alle intimidazioni che da anni le accompagnavano per le strade del paese, e che ormai aveva deciso che bisognava “tornare all’ordine” della sottomissione, tagliando i fili della speranza con cui le donne avevano ricamato il loro progetto di libertà.

Dopo 50 anni la testimonianza del loro coraggio parla ancora alle giovani generazioni e le istituzioni ne hanno riconosciuto il valore.

Condividi Questo Articolo