Oggi 8 agosto, festa di San Domenico, e a Caltanissetta c’è una chiesa che porta il suo nome e il suo
destino. Una chiesa che sembra avere un’anima, che ha attraversato secoli, crolli, chiusure, oblio,
eppure continua a restare in piedi, come se volesse ancora dire qualcosa.
San Domenico, patrono del Rosario, fondatore dell’Ordine dei Predicatori, è spesso rappresentato con un cane: un cane bianco e nero, come l’abito domenicano, con una fiaccola ardente in bocca. Un simbolo potente, quasi apocalittico: la fede che corre, il Verbo che incendia. L’immagine nasce da un sogno della madre del santo, secondo cui il figlio avrebbe portato la luce del Vangelo nel mondo con la forza di un fuoco.
E oggi, proprio in questo giorno a lui dedicato, è impossibile non fermarsi a guardare quella chiesa che, in un angolo di Caltanissetta, ancora brucia silenziosamente di storia e memoria. La chiesa di San Domenico è nascosta nel cuore antico della città, nel quartiere Angeli, e si raggiunge percorrendo una strada stretta, quasi dimenticata. Giovanni Mulè Bertolo, nel 1906, ci guida con parole semplici e amare: “Un vicoletto formato da case basse e annerite dal tempo ci porta alla piazzetta di San Domenico. Eccoci al convento dei padri predicatori. Ma che cavolo dico! Siamo al distretto militare.”
È stato davvero così. Perché questa chiesa, nata nel 1458 per volontà del conte Antonio Moncada, fu per lungo tempo profana, ridotta a magazzino, poi caserma. La soppressione degli ordini religiosi, nel 1861, la spogliò della sua identità sacra. Solo nel 1924 fu riaperta al culto.
Ma nel frattempo, era diventata un contenitore vuoto, con l’altare al buio e le statue avvolte nella polvere.
Eppure, nel cuore della città nobile, questa chiesa era stata per secoli il sepolcro dei Moncada, la
cappella di corte, il luogo della preghiera aristocratica e popolare insieme.
Si racconta che proprio lì vennero traslate, dopo il crollo del Castello di Pietrarossa, le ceneri della principessa Adelasia, nipote di Re Ruggero. Un passaggio di custodia, come un testimone tra rovine: da fortezza a tempio, da difesa a memoria.
La facciata barocca, rimasta incompiuta, porta in sé la malinconia delle cose mai finite. Il chiostro domenicano, costruito agli inizi del Seicento, racconta ancora oggi il silenzio che un tempo ospitava i passi lenti dei frati. All’interno, opere d’arte straordinarie firmate da Filippo Paladini e Vincenzo Roggeri – come la Madonna del Rosario, l’Estasi di San Tommaso, il Martirio di San Pietro Martire – sono sopravvissute ai traslochi, alle vendite, alle dispersioni del demanio.
Oggi San Domenico resta in piedi tra palazzi scoloriti e finestre chiuse. Non ha la gloria della Cattedrale, né il richiamo turistico delle grandi basiliche. Ma ha una forza segreta, quasi umana.
Come un anziano che ha visto tutto e che continua, senza voce, a custodire ciò che resta.