Siciliani onorevoli e siciliani del disonore!

Tonino Cala
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Quando fu ucciso Piersanti Mattarella, e dopo toccò la stessa sorte a Pio La Torre, abitavo a Palermo, vicino a piazza Don Sturzo, alle spalle della meravigliosa piazza Politeama e a due passi dal mercato del Borgo Vecchio e del porto di Palermo. Li vicino, a breve distanza, la via Carini, dove furono trucidati barbaramente il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e sua moglie Emanuela Setti Carraro.

I nomi degli eroi rimangono nella storia per le loro imprese, quando le donne e gli uomini scelgono e decidono di volere fare gli eroi! Non è questa una narrazione epica, né di mitici condottieri né di eretiche da condannare al rogo, quando le donne e gli uomini dicono di non sentirsi degli eroi e hanno scelto di vivere liberamente, senza alcun condizionamento individuale e collettivo.

La mattina si respirava l’aria profumata della salsedine: l’odore del mare! Palermo veniva insanguinata dalla vile mano mafiosa. La più bella città del Mediterraneo, ricca di storia, di arte e di cultura, era diventata il luogo orribile e mostruoso che abbiano conosciuto in quegli anni per colpa di quattro criminali ignoranti, volgari, violenti, sadici e senza alcuna umanità.

Per le persone oneste che abitavano a Palermo veniva facile pensare che bisognava schierarsi dalla parte dei giusti, dalla parte di coloro che per me non erano eroi ma semplici siciliani di autentico e provato onore, gli unici onorevoli della Sicilia che combattevano la corruzione e la violenza della politica collusa e delle mafie arroganti.

Su questo punto non ho mai avuto dubbi. Mattarella era democristiano di sinistra e Pio La Torre era comunista! Noi stavamo dalla parte giusta: quella dell’onestà e della legalità. In quegli anni, molti siciliani fingevano di desiderare una vita onesta e rispettosa delle leggi. Infatti, in giro per Palermo si ascoltava il refrain ruffiano e colpevole che “la mafia è buona!”. Era così in tutta la Sicilia, anche in provincia di Caltanissetta.

E se comunista significava lottare contro la mafia, ebbene in tanti eravamo comunisti! Ma non era l’essere “comunisti” che ci faceva vincere la paura, semmai il sentirsi minacciati da un pericolo mortale che avvelenava le relazioni sociali.

Un certo fatalismo siculo, cinico e di “panza”, omertoso e codardo, ha fatto da sfondo all’aberrazione criminale di una “sicilitudine” tragicamente esposta al cancro mafioso, mano nera di una paura collettiva che attraversava gran parte del popolo siciliano.

Non tutti i siciliani erano sottomessi e schiavi per volere di quattro criminali bugiardi e ignominiosi, quelli che si nascondevano per viltà disonorevole, mezzi uomini, e forse animali, che ricattavano e uccidevano per lo sporco denaro dei loro affari. Altri siciliani, come il giovane Peppino Impastato, potevano urlare indignati e a pieno diritto: “la mafia è una montagna di merda!”.

Ancora oggi, mi capita di riprendere, con postura professorale, coloro che giustificano le mafie, complici amorali e familisti di un cancro oscuro: quello che ha segnato funestamente, e per tanti anni, la nostra terra.

Non tutti in Sicilia, hanno avuto e hanno la consapevolezza di ciò che è accaduto, nonostante l’elevato prezzo di sangue pagato con la loro vita da quei siciliani onesti che non si sono arresi a “Cosa nostra” per difendere i valori della vita.

Non tutti, anche a sinistra, anche tra quelli che si definivano comunisti, non bastava dirlo ma bisognava dimostrarlo, hanno potuto sviluppare dentro di loro il “vaccino della coscienza”, riuscendo a trovare un minimo di coraggio per potere dire: “No, la mafia non è buona”.

Ancora oggi, i rituali e le commemorazioni in ricordo delle vittime della mafia celano l’indifferenza di esistenze spente e vuote, con il ritorno ciclico e inoperoso nella Storia attuale di personaggi squallidi, dei tanti Don Abbondio e dei tanti Don Rodrigo, di manzoniana memoria.

A noi cittadini siciliani, attivi e vigili, il compito civile di non rassegnarci al male endemico che ha violentato la nostra isola, un paradiso terrestre chiamato “Sicilia”.

Tonino Calà

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