Un libro prezioso di Salvatore Falzone riscopre “Un eroe da dimenticare – Attorno al mistero di Antonio Canepa” (ediz. Rubbettino), riportando in luce la vicenda di una personalità straordinaria della Sicilia della prima metà del ‘900, Antonio Canepa, carismatico e misterioso leader dell’indipendentismo siciliano che negli anni ’40 infiammò la Sicilia tra grandi speranze e grandi contraddizioni.
Una storia dimenticata a partire dal dopoguerra, quando la conquista dell’autonomia speciale per la Sicilia sembrava avere superato e pacificato le tensioni degli anni ’40, e sulla vicenda di Antonio Canepa e soprattutto sulla sua morte mai del tutto spiegata, era calato il sudario della rimozione.
È proprio sul mistero e sulle contraddizioni apparentemente inspiegabili che Salvatore Falzone, avvocato e scrittore, costruisce la sua narrazione, volutamente priva di risposte ma fecondissima di domande e di piste di ricerca che si aprono sotto gli occhi del lettore per poi immergersi nuovamente nel mistero.
Il contesto in cui Canepa aveva operato era sempre stato complesso e multiforme, e negli anni della 2° guerra mondiale la Sicilia aveva assunto un ruolo strategico nello scenario internazionale, diventando lo snodo di intrecci non sempre del tutto dichiarati, una sorta di crocevia sommerso della storia di cui le fonti ufficiali non potevano documentare tutti gli aspetti.
La Sicilia nell’estate del 1943 è il primo territorio europeo conquistato dagli anglo-americani, che dalla Sicilia cominciano a strappare territori all’asse nazi-fascista che fino a quel momento aveva vinto su diversi fronti di guerra, segnando una svolta, definitiva, delle vicende militari.
Già dal 1942 i servizi segreti inglesi e statunitensi avevano scandagliato capillarmente il territorio siciliano, fino a produrre due diverse Guide per i militari in vista di uno sbarco sul territorio isolano. Negli Stati Uniti il patto con la mafia americana per assicurare in Sicilia la non ostilità nei confronti degli Alleati era stata una delle componenti della futura strategia di occupazione. Già nella primavera del 1943, per conto dei servizi segreti italiani, tre siciliani, il generale Castellano con i due attendenti Galvano Lanza di Trabia e Vito Guarrasi trattavano ad Algeri con i comandi militari Alleati per una pace separata dell’Italia, che si sarebbe concretizzata con l’armistizio di Cassibile, reso noto l’8 settembre del 1943, poche settimane dopo la caduta del fascismo.
I rapporti delle logge massoniche inglesi con quelle italiane non erano stati estranei a quelle trattative e ne avevano sostenuto gli esiti. Come del resto era avvenuto altre volte in Italia, a cominciare dalla spedizione dei Mille, quando erano in gioco gli interessi mediterranei della Gran Bretagna.
E come in quella vicenda, la questione della terra e della fine del sistema del latifondo diventava l’epicentro di un conflitto sociale che avrebbe mosso poderosi movimenti popolari e segnato il perimetro dello scontro tra la vecchia Sicilia del latifondo e del privilegio e la Sicilia del popolo che aspirava a condizioni di vita e di lavoro finalmente dignitose, in un quadro di partecipazione democratica che la fine del fascismo sembrava rendere possibile.
Antonio Canepa in questo contesto complesso e conflittuale diventa un riferimento importante quanto sfuggente nel quadro politico in tumultuosa trasformazione. Era nato nel 1908 a Palermo da una famiglia della classe dirigente non aristocratica: il padre era docente universitario e la madre sorella dell’on. Pecoraro, esponente del PPI e capo di una famiglia molto potente economicamente e socialmente anche durante la dittatura.
Canepa studia dai Gesuiti e si laurea brillantemente in Giurisprudenza. Nel 1933 lo ritroviamo al centro di un tentativo di colpo di Stato “dimostrativo” nella repubblica di San Marino, di chiara impostazione antifascista. Arrestato, riesce ad evitare la prigionia con una diagnosi di infermità mentale e un ricovero in clinica psichiatrica. Ma qualche anno dopo, incredibilmente, dopo aver pubblicato uno studio in tre volumi “Sistema di dottrina del fascismo” che costituiva un monumento di fondazione teorica dell’ideologia del regime, conquista una cattedra universitaria proprio in Storia e dottrina del fascismo, a Palermo e poi a Catania. Qui conosce il duca di Bronte, che lo collega ai servizi di intelligence del Regno Unito, con cui comincia a collaborare.
Gli anni iniziali della seconda guerra mondiale vedono emergere in Sicilia le tensioni separatiste, che si esprimono in due indirizzi, geopolitici e di pensiero. Nel 1941 Lucio Tasca, latifondista palermitano, pubblicava l’Elogio del latifondo siciliano, in cui esprimeva il distacco dei grandi agrari dal regime che aveva annunciato la “liquidazione” del latifondo e la loro volontà di provocare il distacco della Sicilia dall’Italia in chiave conservatrice.
Nel 1942 Antonio Canepa pubblicava, con lo pseudonimo di Mario Turri, La Sicilia ai siciliani, manifesto di un indipendentismo nettamente progressista, che proprio sull’asse della riforma agraria e della terra ai contadini orientava la propria volontà di azione e di riscatto delle classi lavoratrici.
Il separatismo siciliano nasce quindi con questa netta divaricazione interna, ma inizialmente con un grande seguito popolare e giovanile, che ne fanno un protagonista della vita politica siciliana dei mesi successivi allo sbarco alleato. Così come un altro “cromosoma” fondativo è lo schierarsi a suo favore della mafia, collegata soprattutto con il versante palermitano del movimento, avente in Calogero Vizzini da Villalba il suo leader riconosciuto, fortemente collegato con le “famiglie” americane che lo avevano accreditato.
Canepa, che nel febbraio del 1945 costituirà l’EVIS (Esercito Volontario per l’Indipendenza della Sicilia), rifiuterà sempre ogni rapporto con le bande criminali, sia mafiose sia di delinquenza comune, che invece i separatisti palermitani pensavano di potere utilizzare come braccio armato e forza di pressione, nello stesso tempo in cui trattavano sia con gli inglesi sia con gli americani per dare una copertura internazionale al progetto di indipendenza della Sicilia.
Canepa e Varvaro saranno quindi l’ala sinistra del movimento, puntando sulla riforma agraria proprio mentre il governo nazionale dell’Italia liberata, nell’autunno del 1944 lanciava i Decreti Gullo-Segni per la distribuzione delle terre incolte ai contadini e nuovi patti agrari per la distribuzione dei prodotti.
“Quando faremo la Repubblica sociale in Sicilia – scriveva Canepa – i feudatari dovranno darci le loro terre, se non vorranno darci le loro teste”. La sua posizione politica sembrava quindi inequivocabile.
Ma le sorti del conflitto stavano prendendo un indirizzo finale che nella Conferenza di Yalta, nel febbraio 1945, stabiliva il nuovo ordine mondiale del dopoguerra, con l’Italia assegnata all’area occidentale, ma unita senza eccezioni, abbandonando quindi al suo destino il movimento separatista.
Canepa quindi non aveva più coperture né politiche né militari per il suo sogno indipendentista. Era riuscito a reclutare per il suo esercito decine di giovani, studenti e universitari, che addestrava apertamente in campi sulle pendici dell’Etna, puntando al riconoscimento ufficiale dell’esercito indipendentista, come era avvenuto, nel 1907, con la Convenzione de L’Aja per l’esercito indipendentista irlandese.
Di “svuotare” il separatismo sia politicamente, con la proposta dell’autonomia speciale per la Sicilia, sia militarmente, “assorbendo” l’appoggio della mafia da far rientrare nei ranghi di un rapporto “normalizzato” con lo Stato italiano, si stava occupando l’Alto Commissario con pieni poteri sulla Sicilia, Salvatore Aldisio, già ministro dell’Interno nel secondo Governo Bonomi, che riesce a realizzare l’obiettivo politico, che si concretizzerà con lo Statuto Autonomistico siciliano, approvato il 15 maggio 1946 con decreto luogotenenziale da Umberto di Savoja, prima ancora dell’Assemblea Costituente.
Antonio Canepa era morto il 17 giugno del 1945, ufficialmente in un conflitto a fuoco con i Carabinieri. Nessuno storico né giornalista credette alla versione ufficiale. Ferito insieme a due compagni mentre su un autocarro si trovava nei pressi di Randazzo, morì dissanguato in ospedale senza che nessuno si preoccupasse di curarlo per diverse ore.
Il mito del professore-guerrigliero, il Che Guevara della Sicilia, come scrisse l’Ora qualche anno dopo, si sarebbe diffuso sia a sinistra, dove lo si considerava un comunista “eretico”, sia tra gli autonomisti di destra, che ancora oggi, come Musumeci e Lombardo, ne rivendicano la testimonianza esemplare.
A Catania è sepolto nel viale dei siciliani illustri del cimitero, dove riposano Verga e Musco.
Leonardo Sciascia, come racconta Salvatore Falzone nel suo libro, ne studiò le vicende per anni, decidendo poi di non scriverne più. Forse perché Canepa non era abbastanza “sconfitto” né lucidamente e illuministicamente razionale, secondo l’indirizzo che Sciascia prediligeva.
Troppo appassionato della sua utopia, “idealista fino al misticismo” come avrebbero scritto di lui, irriducibile, non avrebbe mai accettato di accordarsi con un nuovo Stato garante del vecchio ordine sociale della Sicilia, appena rimodernato, e quindi non era più “utile” come nei mesi convulsi della guerra, ed era diventato anzi un elemento troppo dissonante rispetto ai nuovi equilibri che si erano consolidati.
Non aveva alle spalle nessun partito, l’arte della dissimulazione che lo aveva accompagnato rocambolescamente negli anni del regime, in cui aveva assunto tante diverse identità, tanti pseudonimi, tanti indirizzi politici che apparivano contrastanti, almeno in superficie, non lo rendeva collocabile né affidabile per i nuovi poteri, pubblici e occulti, della nuova Sicilia nella nuova Italia del dopoguerra.
La rimozione, la congiura del silenzio, una silenziosa, plumbea damnatio memoriae, per 80 anni ne ha cancellato la memoria, facendone, secondo il titolo del libro di Falzone, “un eroe da dimenticare”.
Il libro però ci consegna un filo di Arianna, ingarbugliato ma riconoscibile, per ripercorrerne le vicende e cercare di comprenderle, nel contesto complicato e sfuggente in cui si sono storicamente realizzate.
Per questo penso che bisogna essergliene molto grati. E continuare la ricerca.
