Da Mussomeli alle Alpi, la storia di Vincenza Noto Lomanto, partigiana in Piemonte

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Una stella alpina per Enza” ci racconta la storia di Vincenza Noto Lomanto, una donna siciliana, originaria di Mussomeli, protagonista della Resistenza in Piemonte, partigiana che ha sacrificato la sua vita per conquistare la libertà al nostro Paese e riscattare la dignità del nostro popolo dopo vent’anni di totalitarismo fascista.

La sua storia è ricostruita nel romanzo-saggio “Una stella alpina per Enza” (edizioni ArabaFenice) fresco di stampa proprio in questi giorni, di Enrico Cortese, medico e scrittore, figlio del comandante partigiano “Ilio” Gino Cortese, liberatore di Parma e protagonista della vita democratica della Sicilia nel dopoguerra, ed è un omaggio prezioso nell’80° anniversario della Liberazione dell’Italia dal nazi-fascismo. Un omaggio alla Resistenza delle donne, per troppo tempo ignorata, quando non rimossa, ed un omaggio alla Sicilia come protagonista della Resistenza e della Liberazione dell’Italia, superando ancora il vecchio stereotipo di una Resistenza soltanto “nordista”

Questo libro è il frutto di una ricerca appassionata che per anni ha portato Cortese a ricostruire la storia di Vincenza Noto e della sua famiglia, tra uffici anagrafici, testimonianze di parenti e di compagni di lotta di questa donna coraggiosa, emigrata da Mussomeli a Torino negli anni Trenta, con il marito Francesco Lomanto e sette figli, decisi a costruirsi lavorando duramente un futuro dignitoso e ritrovatisi, nella tempesta della guerra, a fare la scelta difficile e per nulla scontata di stare dalla parte giusta della storia spendendosi in prima persona, fino al sacrificio della vita.

È una storia appassionante, tanto vera quanto straordinaria, di una famiglia del popolo lavoratore, che costruisce la propria vita tra mille sacrifici, senza piegarsi, senza sottomettersi all’ingiustizia ed al sopruso.

A Torino i Lomanto entrano in contatto con il mondo clandestino antifascista, e la guida morale della famiglia diventa proprio Enza, la madre, con la sua scelta di combattere in prima persona, caduta a 46 anni nell’ottobre del 1944 nelle montagne del Canavese, in quella che fu la stagione più dura della lotta partigiana, segnando poi la svolta che avrebbe portato, nella primavera dell’anno successivo, alla vittoria e alla Liberazione.

Il romanzo è anche un viaggio nella storia quotidiana di chi non trova mai il proprio nome sui libri di storia: ne ricostruisce il cibo, le case, l’esistenza tessuta di lavoro e sacrifici, vissuti da “terùn” nella Torino operaia in quegli anni ’30 che per l’Italia ufficiale erano il tempo dei “telefoni bianchi” del cinema del regime e che invece nelle case e nelle strade viveva tutta un’altra storia.

Di quel popolo lavoratore, siciliano e piemontese,  riporta anche il linguaggio, i modi di dire, li traduce come sottotitoli di un film neorealista, seguendo il viaggio di Enza, il marito e i loro sette figli, catapultati dalle campagne di Mussomeli alla Torino popolare delle case di ringhiera, dove trovano l’acqua corrente e la luce elettrica. La Torino delle fabbriche, in cui i Lomanto e i loro figli più grandi trovano lavoro e conoscono l’impegno sociale, la politica clandestina dei gruppi socialisti, fino alla scelta della lotta partigiana, nel maggio del 1944, per Enza e la figlia maggiore, Salvina, nelle Brigate Matteotti, nel Canavese.

Enza sarà la sarta dei partigiani, riparando e cucendo notte e giorno divise e vestiti, benvoluta e protetta da quei giovani così somiglianti ai suoi figli, per i quali spendeva il suo lavoro seguendoli nei loro spostamenti, a rischio della vita.

Morirà assiderata, durante una fuga attraverso le montagne, inseguiti dai tedeschi, con la sua compagna Vittorina, sommerse dalla neve. Due giorni dopo i loro corpi verranno recuperati dai partigiani della loro Brigata e seppelliti a Frassineto.

Il suo nome è inciso su una lapide che ricorda il sacrificio dei partigiani, nel Municipio di Frassineto, a migliaia di chilometri dalla sua Mussomeli.

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