Le indagini del Commissario Falconara. 8° puntata

Lillo Ariosto
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Il ritrovamento di Beniamino

Dopo un interminabile momento (sempre quasi l’ossimoro presente) Falconara scacciò dalla mente l’immagine di Belfagor, riprendendo tutte le facoltà del solido commissario di polizia. Si collocò a distanza di sicurezza, al riparo dal micidiale alito del ragioniere che – nella nebbia dentale, affollata da ogni sorta di batterio (di cui pure pareva vantarsi) – continuò nella sua lezione da docente “anni ‘60” da vecchia Scuola Radio Elettra Torino.

“Molte antenne sono nel terrazzino del sottopiano, sopra il cortile dove giocano i ragazzi con il pallone. Ogni tanto ne fanno volare qualcuna. Forse quella sua è stata colpita da una pallonata tirata per un rigore o una punizione. O si è spostata o l’hanno decapitata definitivamente”.

Così concluse il ragioniere-Belfagor, emettendo una risata ancora più tremenda e spaventosa del suo fiato. Falconara già mezzo suonato dall’apparizione spettrale e ancor di più dalla puzza cadaverica proveniente dalle fauci indigenti del ragioniere accusò il colpo. Pensò che stava davvero diventando anziano. Aveva dimenticato che il segnale televisivo veniva ricevuto, sino all’avvento del canale digitale, dalle padelle giganti che – alla faccia della tutela del paesaggio – infestavano balconi e terrazzini, declassando a inutili arbusti metallici i pali con in cima le graticole delle vecchie antenne ora in via di estinzione.

“Grazie ragioniere. Vado subito a vedere”.

Con questo apparente congedo Falconara riprese in direzione delle due ante metalliche del portoncino che dava accesso al lastrico sommitale. Il ragioniere lo guardò stupito, continuando a sventagliare salve di fetore eruttate dalla orrenda cavità orale, sin quando emise un altro editto micidiale per l’autostima del povero Falconara.

“Scusi dottore ma cosa sta facendo? Ma non lo sa? L’amministratore ha fatto montare gli antennini monodirezionali, per ogni ala del palazzo. Li trova, pure queste, nel terrazzino del sottopiano”.

Il ragioniere, incurante del pericolo costante procurato dal tanfo prodotto dal suo personale Ade esofageo, concluse la sua dissertazione con una fragorosa risata da giostra degli orrori.

Falconara accusò ancor di più il doppio colpo. Il primo dovuto alle scarse difese immunitarie nei confronti dell’olezzo da zolfo luciferigno alitato dal ragioniere, il secondo per la constatazione di stare davvero diventando attempato. Aveva dimenticato che il segnale televisivo, prima ricevuto dalle padelle giganti, adesso era devoluto alle mini griglie di ascisse e ordinate metalliche suddivise – in monodose – per appartamento.

“Grazie ragioniere. Vado subito a vedere”. Replicò un’altra volta la litania, senza alcun altro commento, per non rimarcare la gaffe tecnologica dovuta alla sua anagrafe.

Scese le scale per evitare l’olezzo, anche questo ripugnante, messo a corredo di quasi tutti gli ascensori. Raggiunse il terrazzino al sottopiano. Notò che la porticina di accesso era totalmente libera. Non aveva alcuna serratura, né alcuna fibbia a chiavistello. Bastava ruotare un piccolo pomello e lo sportellino si spalancava nei due sensi, in avanti o indietro.

Chiunque avrebbe potuto accedere alla scala condominiale senza passare dal portone di ingresso che invece si richiudeva grazie a un pistoncino idraulico. Oltrepassato l’accesso venne accolto da un sibilo di un pallone che lo stava raggiungendo in pieno viso se non si fosse prontamente scansato. Se da un lato la pallonata evitata lo aveva agitato, dall’altro si era sentito rinfrancato dalla prontezza di riflessi che aveva avuto, a conferma della sua ancora perfetta condizione fisica.

Fu un fuggi-fuggi generale. In un lampo dei ragazzini, da cui era partito il bolide che aveva messo a rischio il profilo – (poco) greco e (molto) berbero – del commissario, non vi fu traccia.

Impassibile sul parapetto del terrazzino invece troneggiava, in meravigliosa solitudine, il gatto della vedova Lo Celso. Beniamino lo stava a fissare con sguardo da sfinge. Immobile, pareva celare l’interrogativo su chi fosse quell’intruso con baffi, giacca e cravatta ma soprattutto cosa fosse venuto a fare nel suo nuovo regno.

Il commissario/intruso iniziò ad apostrofare all’indirizzo di Beniamino. “Beniamino, Beniamino. Gattino bello. Vieni, vieni, vieni qui gattino piccolo. Micio, micio, micio….. muscì, muscì, muscì…”

Falconara si ritrovò a corteggiare, suo malgrado, quel gatto da cui veniva scrupolosamente osservato quasi con biasimo.

Sperando che nessuno lo sentisse iniziò a blandirlo, sia in italiano (micio, micio, micio) che in “miagolese” (muscì, muscì, muscì).

Si ricordò della vedova quando dissertava sulla lingua con cui parlare al gatto. Per un momento in mente gli riapparve la Lo Celso che con il suo ghigno faceva “Miao, miao, miaooooo….”.

Subito dopo, scomparsa la vedova pungente, tremò al pensiero che qualcuno – e volesse il cielo non Maria Stella – stesse assistendo alla grottesca scena. Si consolò al pensiero di avere comunque ritrovato il gatto. Non immaginava però cosa lo attendeva.

Continua ……..

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