La mossa della moneta
“Buongiorno dottore, ci sarebbero quei rapporti sulle truffe on line che dovrebbe firmare”.
!Si, bene. Peluso me li porti nel mio ufficio. Grazie”.
L’agente Peluso poi continuò.
“Dottore la cerca il questore”.
“Va bene me lo chiami”.
“No dottore. Il questore la vuole di persona”.
Falconara temette per un momento di sentire da Peluso quel tormentone che in quasi tutte le questure d’Italia da qualche anno svolazzava. Per fortuna non udì l’avverbio “personalmente” aggiunto al “di persona”. La questura di Calatorre – ne aveva avuto (ri)conferma – era una istituzione non da TV pittoresca. Uscì dalla sua stanza. Mollò gli ormeggi e virò in direzione del lungo corridoio che portava all’ufficio del suo capo. Bussò prima di entrare.
“Signor questore buongiorno. Mi è stato detto che mi voleva parlare”.
Falconara, a differenza del personaggio televisivo, aveva stima del suo più in alto in rango. Seppure da giovane aveva indossato il fazzoletto scarlatto del contestatore, da quando aveva deciso di concorrere in Polizia aveva sempre tenuto in alta considerazione la bontà delle istituzioni. Era un fatto di onestà intellettuale. Certo – ne era consapevole – non tutto andava bene. Riteneva in ogni caso che ognuno, nelle piccole come nelle grandi cose, fosse tenuto a fare per bene quello per cui aveva prestato giuramento. Era una questione di sostanza e non solo di forme.
“Si accomodi Falconara. L’ho fatta venire perché voglio che segua la vicenda di questi ragazzini che pare facciano da “spacciatori” di oggetti preziosi rubati da qualche delinquente venuto da fuori. Qui i furti in appartamento ancora non sono all’ordine del giorno. Vorrei che la situazione rimanesse tale. Almeno in questo”.
Gli sembrò che il questore avesse letto nella sua mente la fine del colloquio con Pasqualino “Settebellezze”. Da quando aveva lasciato il negozio del fruttivendolo il pensiero di Falconara era rimasto fisso sul come andare a esaminare i corpi di reato sequestrati in occasione dell’arresto di quegli stupidi scriteriati. Raccattare, più che ricettare, cianfrusaglie saccheggiate da ladruncoli avviati sul pericoloso e miserabile viale di chissà quali altri crimini era davvero una idiozia. Falconara avrebbe pensato dopo a sgominare quella banda di fessi. A lui interessava controllare quel ciarpame custodito nell’armadio blindato del vice sovrintendente Aliquò.
!Mi adopero immediatamente signor questore. Posso prendere con me due agenti?“
Il questore lo guardò un pò meravigliato.
“Uno le basta. Lo scelga lei stesso”.
“Grazie. Allora vado. Buongiorno signor questore”.
Non fece neanche caso alla decurtazione subìta. Uno o due agenti non cambiava molto. Avrebbe pensato poi come recuperare quello che nel clima aziendalistico che aveva investito ogni campo dell’amministrazione veniva definita unità di risorse umane. Per ora doveva andare presso il bancone (perché non si trattava neanche di un vero ufficio) di Aliquò.
Lasciò la stanza del questore. Salutò l’agente addetto all’anticamera (“Ambiente di attesa che precede le stanze riservate agli uffici destinati ad alte cariche, costituita spesso da una grande sala, sontuosamente decorata e arredata” – Treccani. Dizionario), consistente appena in un vecchio tavolo di fòrmica in legno e una sedia che gli ricordava quella del maestro alle elementari, (dis)messi appena fuori dalla porta.
Abbandonò queste misere considerazioni e si affrettò in direzione dell’ascensore per inabissarsi nei sotterranei del palazzo.
La luce fioca delle luci al neon del piano seminterrato lo bombardò tenuamente. Dovette ricorrere alla torcia del telefonino per non andare a zonzo lungo quel corridoio all’afrore di rinchiuso misto a muffa. In fondo a una grada semi aperta sboccava una luce gialla che in quel crepuscolo diffuso gli apparse come un faro di salvataggio per marinai sull’onda del naufragio. Seguì la luce di quella interrata stella polare e svoltò a destra. Di fronte si trovò Renato Aliquò, magazziniere per nascita, dal momento che la “lagnusia” si era impossessata di lui sin dal primo (svogliato) vagìto.
“Dottore buongiorno. E’ un piacere vederla. Lei da queste parti? Omicidi non ce ne sono stati. Non abbiamo avuto incameramento né di fucili, né di pistole, pugnali, coltelli, clave, mazze, lance, spade, alabarde, giavellotti, zagagli……“
Falconara intimò un perentorio alt.
“Fermo Aliquò. Fermoooo! Non continuare, se no mi elenchi tutte le armi da Achille a Robin Hood. Non sono qui per omicidi o altri fatti di sangue”.
A Falconara un po’ dispiacque avere interrotto la sequela di strumenti di morte su cui si era avviato Aliquò. Avrebbe voluto vedere sino a dove sarebbe arrivato. Notò che mancavano archi, frecce, balestre, colubrine e altro ancora. Chissà se avrebbe menzionato, in una scala al contrario, pure la bomba atomica.
“Aliquò il questore mi ha affidato l’indagine sui quei fessi che sono stati sopresi con la refurtiva ricettata dai quei topi di appartamento venuti da fuori. Dovrei vedere di cosa si tratta”.
Come una fucilata alla schiena si sentì rispondere.
“A disposizione dottore”.
Questo “a disposizione” a Falconara non piaceva. Gli sapeva di malavitosità malsana. Evitò di riprendere il magazziniere. Non era il momento.
“Accompagnami allo scaffale dove si trova questo “malloppo” racimolato da questi idioti”.
Aliquò, in perfetto burocratese, sollevò timidamente l’eccezione del caso.
“Dottore ci vorrebbe l’autorizzazione. Ma sono a sua disposizione lo stesso”.
Un altro colpo alla schiena.
“Aliquò la vuoi finire con questo “a disposizione”. Ti sto chiedendo una cortesia, all’interno di un ordine superiore. Va bene? Hai compreso?“
“Certo dottore Falconara. Era solo per dirle che stavo eseguendo i suoi comandi”.
“Va bene Aliquò. Lascia stare. Accompagnami al casellario dei corpi di reato. Grazie”.
Aliquò, ancora stonato per quell’inaspettato rimprovero condusse Falconara all’armadio blindato e dopo avere armeggiato con un grande mazzo di chiavi, spalancò i due sportelli. Prese un contenitore di cartone rinforzato e lo mise su una mensola vicina.
“Dottore questo è quello che è stato sequestrato. Di gioielli veri e propri non ce ne sono. Chissà dove i veri ladri li hanno smerciati. A questi deficienti hanno dato solo qualche anellino, due braccialetti, due cose d’oro e minchiatelle varie. C’è pure una vecchia moneta di dieci lire bucata. Ma cheffà ci spararo? Minkia una bella mira dovevano avere!“
Falconara finse di non avere sentito la orrenda battuta.
“Aliquò, mi interessa la moneta”.
L’agente-magazziniere con meraviglia azzardò.
– “La moneta dottore? E che ci deve fare? Un vali nenti. Niente vale dottore”.
“Stai tranquillo. Mi serve per le impronte digitali”.
Aliquò lo guardo stranito. Che il commissario stesse pigliando una cantonata?
“Compila il registro dei ritiri che te lo firmo. Va bene così”.
Attese che il magazziniere riempisse il modello 24T di carta (quasi velina) gialla. A Falconara quel fogliettino ricordò lo “statino” che un tempo andava presentato in Facoltà per formare il calendario di esami. Roba vecchia. Aliquò con lo sguardo ancora più confuso porse la carpetta di cartone stanco con il modello da sottoscrivere. Falconara lo firmò, fissando nelle pupille fiacche, il povero agente sempre più perplesso. Lo salutò. Ricevette un gesto di imbarazzata risposta che non comprese o che non volle comprendere. Infilò il reperto nella tasca della sua giacca tweed di taglio Hacking e riprese la via del corridoio oscuramente illuminato (belli questi quasi ossimori).
Entrò in ascensore e schiacciò il pulsante di risalita.
Poi enunciò a voce alta, in segno di sfida diretto a chissà chi.
“E adesso a noi due!“
Nessuno lo sentì. Neanche colui contro cui si era rivolto.
Continua….

