In attesa dei nuovi affreschi della Cattedrale,viaggio a puntate nel cuore di Borremans (2° parte)

Francesco Daniele Miceli
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E il racconto continua, tra milioni di pennellate. Quelle che l’artista Guglielmo Borremans ha saputo donare a questa città tre secoli fa. Testimoni silenziosi di guerre, di fede, di generazioni che sotto queste volte hanno pregato, sperato, sofferto e gioito.

Sette scene a destra e sette a sinistra: un numero che non è casuale, ma richiama i sette giorni in cui Dio costruì il mondo. E qui, in questo piccolo universo dipinto, Pietro e Paolo raccontano la loro storia. Le voci sembrano uscire dai colori, come se i personaggi parlassero davvero a chi si ferma a guardarli.
Guidati dagli studi di don Rosario Salvaggio, padrone di casa per oltre trent’anni, che come un filo prezioso ci accompagna dentro questo patrimonio, impariamo a riconoscere e a comprendere ogni episodio. E subito ci accorgiamo che i due protagonisti sono inconfondibili: Pietro, anziano, con il mantello giallo e la veste azzurrina; Paolo, con la lunga barba, la tunica verde e il manto rosso.

Due cicli di affreschi meravigliosi, che richiamano la grande lezione di Giotto: come nella cappella degli
Scrovegni a Padova o nella basilica inferiore di Assisi, anche Borremans concepì un racconto di immagini, una narrazione continua. Colori che sembrano custodire voci, intrecciate in un unico canto di fede e di bellezza.
Sul lato sinistro, la vita di San Pietro. Lo vediamo chiamato da Gesù sulle rive del lago: la Vocazione, che trasforma un pescatore in apostolo. Poi la Consegna delle chiavi, simbolo della responsabilità che Cristo gli affida. Nel momento in cui Gesù affida a Pietro le sue pecorelle, il pescatore diventa pastore universale. La Visione di Ioppe apre lo sguardo a un annuncio senza confini, con Pietro dormiente e gli angeli che gli portano un velo candidissimo, mentre nella liberazione dalla prigione troviamo Pietro che sembra uscire dal carcere seguendo un angelo, con le guardie addormentate testimonia la forza della fede che spezza le catene.

Nel Battesimo di Cornelio, l’acqua diventa segno di una Chiesa che accoglie tutti. Infine, il martirio: Pietro
crocifisso a testa in giù, nella suprema imitazione del suo Maestro: dipinto che sembra richiamare il
Caravaggio, ma anziché confondersi nel buio caravaggesco, le figure sono vive grazie ad una luce
penetrante: il sole del mattino sembra illuminare ogni cosa.

Sul lato destro si svolge la vita di San Paolo. Tutto comincia con la sua Vocazione sulla via di Damasco: il cavallo sembra ancora galoppare, e poi la luce che abbatte l’uomo di Tarso è anche quella che lo rialza. Poi, perseguitato, Paolo viene calato lungo le mura della città, fuggendo per poter continuare la sua missione. Davanti al procuratore Felice, l’apostolo non si difende, ma annuncia. All’Areopago di Atene, circondato da filosofi, porta la novità del Dio ignoto. A Malta, il morso della vipera non lo ferisce, e diventa segno della forza della fede. A Roma, incatenato, Paolo annuncia ancora il Vangelo: nessuna prigione può fermare la Parola. E infine il martirio per decapitazione, quando la sua voce si spegne per rinascere come luce!
Sì! Perché se c’è un elemento comune tra le due storie è proprio questa luce che arriva nell’ultimo capitolo, quello della morte, quello del martirio. In entrambi gli affreschi, di Pietro e Paolo, la luce diventa annuncio di vita, speranza. Ristoro.

Nelle vele delle finestre della volta, Borremans ha raffigurato quattordici santi, che vegliano dall’alto come testimoni e custodi della fede. Anche qui, i dettagli ci permettono di riconoscerli uno ad uno.
Sul lato sinistro:
San Lorenzo, con la graticola, strumento del suo martirio.
Santa Lucia, che porta gli occhi su un piattino e una Palma.
Sant’Eligio, vescovo e patrono dei fabbri, con i segni del mestiere e la mitra.
Sant’Anastasia, con la palma e la coppa dei veleni che l’hanno portata alla morte.
San Francesco di Paola, con il bastone e il cappuccio, accanto a lui, un bimbo con un agnellino, tenera immagine di innocenza e di fede.
Sant’Agnese, con una palma, segno di martirio e purezza.
San Gregorio Magno, appena distinguibile per la mitria, accanto alla colomba che evoca l’ispirazione dello Spirito Santo.

Sul lato destro:
Santo Stefano, con una palma in mano: esisteva una compagnia a Caltanissetta proprio dedicata a Santo Stefano addirittura del 1647, questo spiega il motivo per il quale questo Santo ha questa posizione di privilegio dentro la chiesa.
Santa Rosalia, con la corona di rose e le vesti da eremita.
Sant’Agostino, con il pastorale da vescovo e lo Spirito Santo che vola sulla sua testa.
Sant’Orsola, con la freccia del martirio.
Sant’Angelo di Licata, carmelitano con il pugnale del suo assassinio.
Santa Venera, che non porta la palma ma un rametto di ulivo, segno di pace e fede.
San Gaetano di Thiene, con un piccolo ostensorio stretto al petto; due angeli suonano al suo cospetto, in un’atmosfera di adorazione e di luce.

Quattordici figure che, insieme a Pietro e Paolo, compongono un coro silenzioso.
Un libro di immagini, una catechesi dipinta, un racconto corale. E il sogno del Borremans continua
davanti ai nostri occhi: un sogno che non appartiene al passato, ma che ogni giorno si rinnova, nelle
voci e nei colori che non smettono di raccontare.
(continua…)

foto di Umberto Ruvolo

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