Francesco Guadagnuolo: Il grido dell’innocenza affamata

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da Osservatorio Arte Contemporanea riceviamo e pubblichiamo:

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Francesco Guadagnuolo e il suo appello struggente per nutrire le speranze spezzate dei bambini di Gaza

Francesco Guadagnuolo, artista internazionale e testimone umanitario, ha scelto di fermare il “qui e ora” della tragedia di Gaza in un unico dipinto-fotogramma. Con “A quel grido di fame, porgete un pane egli traduce in colore il peso insopportabile dell’innocenza calpestata, trasformando la tela (in tecnica mista e collage) in un altare di pietà e giustizia. Le sue motivazioni nascono da anni di viaggi nei teatri del dolore, dove ogni volto incontrato l’ha spinto a diventare voce di chi non può più parlare. Nell’urgenza di quest’opera c’è la sua promessa: volgere per sempre lo sguardo verso chi implora aiuto.

Al centro, un bambino di circa quattro anni avanza barcollando tra le macerie, le lacrime solcano le sue guance come fiumi di disperazione. Il terrore gli annebbia gli occhi e ogni singhiozzo si fa grido di fame che squassa la coscienza di chi osserva. Forse ha perso i genitori: il vuoto che li ha inghiottiti vibra nell’aria carica di detriti e silenzi irreali. Quel piccolo corpo terrorizzato, sospinto solo dalla speranza di un pasto, diventa emblema di milioni di infanzie spezzate. Il pianto di un bambino travalica confini e ideologie, ci inchioda a un’unica, urgente responsabilità: nutrire chi ha fame. Davanti a questo quadro, il distacco non è più possibile. Quel bambino si avvia verso un destino ignoto, spinto solo dal bisogno di mangiare qualcosa e dalla speranza di non essere dimenticato.

La sabbia, estesa ai lati e sotto di lui, traccia il profilo di Gaza devastata. I verdi smorti delle tende distrutte si stemperano nei gialli polverosi della sabbia, mentre celesti e blu gelidi evocano un mare e un cielo che non riescono a consolare. Guadagnuolo inserisce, tra le increspature della sabbia, pennellate di rosso: non come semplice dettaglio cromatico ma come voce visiva che interrompe il paesaggio. Il rosso rappresenta il sangue versato e le ferite aperte, è il colore della rabbia e della sofferenza che attraversano il terreno stesso; è memoria delle persone perdute e urgenza che reclama attenzione. Tecnica e materia fanno sì che quel rosso appaia quasi infuso nella polvere, come una cicatrice che non si può cancellare, e insieme funziona da richiamo emotivo che trascina lo spettatore dal contemplare al partecipare. In quel rosso c’è anche la fragile resistenza dei bambini: segni di vita ostinata che emergono tra i detriti e chiedono di non essere ignorati.

Ogni pennellata è un’eco di dolore e di resistenza: Francesco Guadagnuolo mescola colori e lacrime, macchia il nostro senso di umanità per costringerci a reagire. Non c’è distanza possibile tra chi guarda e chi soffre, perché la sofferenza è un unico, indissolubile strato d’umanità.

Di fronte a questo quadro, ogni indifferenza diventa complicità. Se non avete pietà per gli uomini, avete pietà almeno per i bambini? Dove volete arrivare continuando a nutrire la violenza con il silenzio dei potenti? Francesco Guadagnuolo ci scuote con domande che bruciano come schegge: avete mai guardato negli occhi un bambino che muore di fame? Come potete dormire tranquilli sapendo che l’innocenza viene annientata dalla guerra?

Che il silenzio che segue il suo pianto diventi motore di azione. Fermate il fuoco sui civili, garantite corridoi umanitari, portate acqua, cibo e cure dove regna disperazione. Convertite il piombo della violenza in pane condiviso: è questo l’unico modo per fermare la carneficina.

Guardando quel piccolo volto innocente terrorizzato, riconosciamo in lui il volto di ogni futuro che merita di crescere, sazio di speranza anziché di paura.

 

 

 

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