31 dicembre 2025, ultimo giorno di servizio della Signora Questore di Caltanissetta, Pinuccia Albertina Agnello, che va in pensione dopo una vita dedicata all’impegno per la sicurezza democratica del nostro Paese, attiva nelle sedi più difficili e nei servizi più complessi, che ha lasciato il segno della sua leadership femminile con una direzione delle forze dell’ordine attenta al contesto sociale e alla vita delle persone, disponibile all’ascolto come pochi, determinata nel perseguire la criminalità e la violenza, dalle piazze di spaccio alle famiglie disastrate.
In questa intervista lascia una testimonianza del senso del suo impegno a 360°, sulle grandi questioni della sicurezza: mafia, violenza, lavoro nero, migranti, rapporto con la politica e le istituzioni, sport e divieti, e della sua esperienza nella società nissena, alla quale, in conclusione, le abbiamo chiesto di offrire una consegna di speranza.
Lei è l’unica Questore donna della Sicilia e una delle poche in tutta Italia. Come ha incontrato e affrontato il patriarcato dentro la Polizia? Una donna che comanda uomini armati, specialmente dalle nostre parti, non è ancora un fatto scontato
Non è scontato, devo dire che per fortuna negli ultimi anni siamo state nominate diverse donne Questore, anche se molto meno rispetto agli uomini e spero che questa scia possa proseguire. Io penso che se si lavora con determinazione, con serietà, con disciplina, innanzitutto con auto-disciplina, si viene apprezzate da chiunque.
Io sarò stata particolarmente fortunata, perché non ho mai avuto problemi da questo punto di vista, neanche quando ho cominciato a dirigere uffici tutti al maschile, con pochissime presenze femminili. Per esempio nel primo ufficio che ho diretto, il Commissariato di Palma di Montechiaro, c’erano solo uomini. Non c’era una donna, neanche tra il personale civile.
Poi mi sono ritrovata a dirigere la sezione operativa della DIA ad Agrigento, istituita da me a da un gruppo di giovani ispettori, sovrintendenti e anche Carabinieri e Finanzieri, perché era interforze: tutti uomini.
Per non parlare delle Volanti di Catania, quelle meno recenti: c’erano circa 250 uomini, in dieci Volanti per turno, e avevamo una sola ragazza in pattuglia, poi c’era qualche ragazza in sala operativa e qualcuna negli uffici; e malgrado io avessi aperto una sorta di campagna promozionale, molte donne, o perché giovani mamme, o perché avevano timore, non hanno risposto. Però con le Volanti di Catania ho avuto grandi soddisfazioni, con i giovani agenti che vedevano in me il loro capo.
Quando è stata l’ultima volta che ha partecipato ad una operazione armata?
Da Vicario della Questura di Siracusa perché lavoravamo sull’emigrazione e facevamo dei servizi legati al traffico di esseri umani e allora andai, d’intesa con il Questore, a sovrintendere ai servizi che faceva la Squadra Mobile. Però per me l’arma è stata la mia compagna di vita, soprattutto quand’ero più giovane, perché facendo Polizia giudiziaria, anche quando sei fuori servizio è come se lo fossi sempre
Abbiamo visto Vanina Guarrasi nella fiction televisiva
Al di là della fiction, dove tutto è edulcorato, romanzato, però c’è una buona parte di verità, soprattutto per una giovane commissaria. Vanina mi potrebbe anche ricordare me stessa. È chiaro che la pistola, usata e portata addosso con consapevolezza, è una tua compagna di vita. Per tanti anni è stata la mia compagna di vita. Ovviamente nessuno sapeva che la indossavo, tranne quando ero in servizio, per quanto io tornassi in famiglia spesso, per le festività, mai nessuno sapeva che la mia compagna era una pistola, perché devi portarla addosso con molta circospezione, perché comunque non smetti mai di essere in servizio, e facendo Polizia giudiziaria rischi di essere sempre un obiettivo per soggetti poco raccomandabili.
Abbiamo apprezzato moltissimo nel suo mandato l’attenzione ai reati di violenza in famiglia, contro le donne. Non c’erano mai stati, qui da noi, tanti interventi in questo settore. Nella sua ultima relazione alla festa della Polizia Lei ha usato un’espressione “la parità di genere sostanziale”: cosa significa concretamente?
Penso che lei si riferisca a un passaggio in cui io parlo di un rapporto che la Questura, la Polizia di Stato ha avuto in provincia con le scuole, le istituzioni, le associazioni, al di là del lavoro di prevenzione che abbiamo fatto come Questura, e che sono certa si continuerà a fare, con la Divisione Anticrimine, su tutto quello che è la prevenzione nei confronti dei soggetti maltrattanti in difesa delle donne, per non parlare della violenza assistita subita dai minori. Mi riferivo soprattutto ad un fatto culturale: nel momento in cui noi, oltre a questo lavoro di prevenzione, per non parlare poi di quello di repressione di fronte ai reati, lavorando con le scuole, con le associazioni che si occupano di parità di genere, ritengo che possa veramente mettere in condizione la società di consentire alle donne la parità sostanziale, in tutti i campi.
Io per prima insieme alla dirigente della Divisione Anticrimine spesso mi sono messa accanto alle donne che son venute qui e che abbiamo avvicinato e convinto a venire qui da noi, perché non è una cosa facile, e ti rendi conto che per esempio spesso manca l’autonomia economica, l’appoggio delle famiglie di origine, e in quel caso come fa questa donna a raggiungere la parità sostanziale? Per questo il lavoro di diffusione culturale tra i giovani deve fare in modo che le famiglie per prime capiscano che, a prescindere dal sesso, i figli hanno diritto a studiare, hanno diritto a lavorare, a trovare una loro libertà. La libertà economica è quello che ti censente di potere dire basta, io non sono costretta a stare con un uomo, mio marito o mio compagno, perché mi mantiene, perché abbiamo un figlio, etc
Lei ha lavorato nel cuore dure duro e nascosto della Sicilia: la provincia di Agrigento, Caltanissetta, Palma di Montechiaro, operazioni di alto impatto, ne ha svolte moltissime anche qui. Ogg il problema è affrontare la mafia invisibile, come si fronteggia la mafia trasparente?
Si fronteggia con le attività investigative, d’intesa con le Procure. Oggi da parte delle Procure c’è molta attenzione per quella che lei chiama mafia invisibile, e ovviamente si tratta anche di reati contro la Pubblica Amministrazione, con un lavoro molto delicato, silenzioso e anche abbastanza lungo. Sono attività investigative di medio-lungo termine: bisogna trovare non solo degli indizi ma delle prove o costruire un quadro indiziario talmente forte da reggere poi in dibattimento. Io ritengo che come Questore potranno dire i miei collaboratori, in particolare la Squadra Mobile, di averli lasciati lavorare tranquillamente. Ho preferito evitare di chiedere continue piccole operazioni pur di lasciarli in pace a fare un lavoro molto certosino, molto profondo, molto sottile su attività che daranno i frutti più in là, che probabilmente raccoglierà il mio successore, ma finché si raccolgono, ben vengano.
C’è anche il rischio che non si raccolgano?
Questo sempre. Io se potessi raccontare quante belle attività ho lasciato man mano, già in itinere, nel corso dei miei diversi incarichi, però poi la soddisfazione è che comunque la magistratura, i collaboratori, chi è del mestiere capisce che è un lavoro iniziato con un precedente dirigente o Questore. Io penso che la cosa importante è che si raccolgano i frutti.
Migranti. Qui con il CPR c’è un’emergenza su questo, anche se sono tanti quelli che diventano residenti, ormai sono quasi il 10% della popolazione. Come si costruisce un’integrazione vera?
L’integrazione vera ha bisogno di una rete interistituzionale, noi possiamo fare il nostro lavoro, studiare la pratica, se il migrante ha diritto al permesso di soggiorno, se poi è raggiunto dai familiari, un lavoro che facciamo fianco a fianco alla Prefettura, che poi lavora all’integrazione con le associazioni che si occupano di avviarli al lavoro. È un lavoro molto complesso. Poi ogni amministrazione, ogni Comune deve fare la propria parte, mettere in condizione questi soggetti di potersi integrare, trovando un lavoro, una situazione alloggiativa dignitosa. I nostri accertamenti ci hanno consentito di vedere che in un appartamento che a malapena poteva ospitare due persone stavano dieci persone. Quella non è integrazione, sono condizioni invivibili. Quindi io penso che tutte le istituzioni e le associazioni devono fare un lavoro di rete, interistituzionale,
Si percepisce nella popolazione il crescere di un’ostilità che prima non c’era nei confronti dei migranti
Questo è dovuto anche a volte ad una informazione sbagliata. Qualche settimana fa mi trovavo dal fruttivendolo e a un certo punto, in riferimento ad uno dei tanti femminicidi, un signore dice: “Con tutti questi immigrati che ci sono in giro”. L’ho guardato e ho risposto: “Guardi le posso assicurare che se guardiamo le percentuali la maggior parte delle donne in Italia non sono state uccise da immigrati, ma dai propri mariti, fidanzati, ex, quindi le assicuro che non è così”. Così come le baby gang ormai abbiamo baby gang formate anche da figli di professionisti, della piccola borghesia. Quindi anche una cattiva informazione incide. Poi secondo me la gente ama le cose più facili, il luogo comune. È molto più semplice, c’è ancora una mentalità molto gretta da questo punto di vista.
Lo sport: abbiamo avuto tanti divieti quest’anno. Qual è la soglia di cui tenete conto quando dovete decidere di vietare?
I casi concreti. Noi abbiamo contatti costanti tra Digos delle città ospitanti e ospitate, si mettono insieme le informazioni, condivise con i rispettivi Prefetti, e con l’Osservatorio sulle manifestazioni e pubblici spettacoli di Roma. Si fanno una serie di ipotesi, si racconta che cosa è successo negli ultimi tempi, quali episodi di violenza, e lì subentra un parere che è del Comitato di analisi dell’Osservatorio, dove sono presenti anche esponenti delle Leghe sportive, addetti ai lavori, e insieme si decide. Il Comitato di analisi esprime il proprio parere e lascia al Prefetto, sentito il Questore, decidere se emettere o meno un provvedimento. È una cosa triste dovere decidere di far giocare a porte chiuse, perché non c’è cosa più bella per noi fare il servizio di ordine pubblico vedendo la gente che si diverte, i tifosi che portano anche le loro famiglie. Ma purtroppo ci sono delle frange che mettono a repentaglio l’incolumità di tutti. Gli ultimi episodi sono stati terribili. Che senso ha che due tifoserie che vanno ad assistere alla partita in due diverse città si incontrano a Villa S. Giovanni, e la cosa non è casuale, perché erano armati di spranghe e bastoni, con i passamontagna per coprirsi, quindi si parte con l’intento di fare danno e questa è una cosa che va a penalizzare tutta la tifoseria e anche le società che perdono un sacco di soldi.
Lavoro nero e povertà assoluta. È uscito questo dato dell’ISTAT: 10.000 persone, a Caltanissetta, vivono al di sotto della soglia della povertà assoluta, con meno di 700 euro al mese. Questo è un problema anche di ordine pubblico?
Il degrado sociale si riverbera sull’ordine pubblico, perché la povertà può creare anche delle sacche di protesta, di ribellione.
Qui però questo non avviene. Quindi è il lavoro nero che compensa, anche con la paura della precarietà, questa povertà assoluta?
Potrebbe anche essere. Abbiamo organizzato, d’intesa con il Prefetto, dei servizi presso aziende agricole che possono impiegare lavoratori sfruttandoli, senza diritti. Se questo attiene anche a soggetti stranieri, che vengono sfruttati e che potrebbero anche essere soggetti deboli, che possono essere affascinati dal fanatismo religioso, ci sono tante sfaccettature sulle quali noi poniamo l’attenzione. Però è chiaro che la povertà crea degrado sociale, che non genera belle cose.
È la politica che deve fare il suo compito, però io penso che le occasioni bisogna crearle, anche da parte delle amministrazioni, con attenzione. Qui sappiamo che la Caritas fa un lavoro straordinario, e mi risulta di persone pensionate che hanno bìsogno del sacchetto della Caritas.
A proposito del rapporto tra forze dell’ordine e la politica, come funziona? La magistratura con le sue indagini funziona bene come cerniera tra queste due dimensioni oppure ognuno sta nella propria sfera senza comunicare operativamente?
Non siamo noi che dobbiamo cercare i politici. Se il politico che rappresenta il governo regionale o nazionale, o i Comuni, cerca le istituzioni per rappresentare dei problemi ben venga, perché loro sono delle antenne sul territorio, perché hanno rapporti con la gente, ben venga, anche se non siamo noi a dover cercare loro. Questa è la deontologia che seguiamo. La Questura sotto il mio mandato è stata apertissima a visite di deputati regionali, senatori, deputati, e sono stata ben lieta di presentare la Questura e mettere a disposizione il nostro lavoro per delle esigenze che hanno segnalato. Loro rappresentano il territorio, chi più di loro?
Posso chiederle se Lei ritiene, in generale, in Sicilia, non soltanto qui, che i politici rappresentino veramente il territorio? Perché spesso il territorio se lo chiede se è rappresentato, l’astensionismo elettorale è un indicatore preoccupante
Questo è anche vero, in tutta Italia. Devo dire che ho ricevuto degli esponenti politici molto consapevoli dei problemi del territorio, con i quali abbiamo fatto un discorso concreto, che hanno rappresentato i problemi della provincia e si sono messi a disposizione per il loro territorio, o per rappresentare esigenze anche nostre, di risorse umane, etc.
Altro aspetto riguarda gli Amministratori, con i quali il rapporto è stato costante, perché sono anche responsabili delle Polizie locali, di uffici che si occupano del sociale, quindi con loro abbiamo un rapporto quasi quotidiano, perché condividono con noi tante situazioni. I Comuni hanno avuto con la Questura un rapporto veramente sinergico di grande collaborazione. Ma soprattutto per loro la Questura rappresenta un presidio disponibile. I Comuni sanno che se chiamano noi forniamo loro tutte le risposte necessarie. Anche i Comuni più piccoli, in cui hanno due-tre vigili, siamo riusciti, d’intesa con i Prefetti, a fare in modo che potessero fare il proprio lavoro compiutamente.
Da questo punto di vista io ritengo Caltanissetta una provincia ammirevole. Non ho mai incontrato un sindaco ostile, o che si sia messo di traverso, o un comandante dei Vigili, anzi hanno messo sempre a disposizione le loro risorse umane. Io penso che questo sia un buon segno.
In questi suoi 38 anni di servizio, la Polizia in Italia ha attraversato una trasformazione, da apparato repressivo fino a presentarsi oggi come una infrastruttura sociale, di vicinanza ai cittadini. Secondo Lei questa transizione verso una Polizia saldamente democratica è completa, è al sicuro, o ci sono delle tensioni che cominciano a serpeggiare in senso autoritario? Negli ultimi anni abbiamo visto episodi di tensioni ai quali non eravamo più abituati
Il mio parere è che la transizione democratica va di pari passo con la trasformazione della società. Io ritengo che quando i poliziotti stanno su strada ad affrontare manifestazioni anche cruente, non dimenticano di essere dei padri o dei figli di famiglia, e sono i padri e i figli di questa società. Quindi difficilmente il poliziotto può rischiare questa deriva autoritaria. Certamente la tensioni ci sono , però, al di là di alcune situazioni, per es. Pisa, Torino, l’Imam, che sono molto episodiche, per il resto io ritengo che la società invece apprezzi molto il lavoro che fa la Polizia, perché la gente che esce per fare una manifestazione pacifica, sa che il presidio di Polizia è lì per evitare che possa succedere altro. Perché purtroppo è dimostrato che la maggior parte della manifestazioni in cui sono avvenuti gli scontri, questi sono state sempre causati da piccole frange estreme, anche di provocatori, anche se erano nate con altre intenzioni. Noi siamo uno Stato democratico, l’art. 18 esiste nella Costituzione (libertà di associazione ndr) e deve essere assolutamente mantenuto. Una Polizia di Stato, (non a caso ci chiamiamo così) democratica, penso che sia una forma di garanzia fortissima di questa Repubblica, alla quale io tengo particolarmente.
Nel suo modo di essere la Signora Questore noi abbiamo sentito che il suo sguardo non era soltanto lo sguardo della Polizia, era uno sguardo sulla società. Lei ci ha conosciuti come nisseni, che viviamo da anni in una condizione di apnea accidiosa, quale consegna pensa di lasciarci perché possiamo risollevarci?
È vero. Io l’anno scorso, il 25 aprile, ho voluto organizzare una bella gita di amici catanesi qui a Caltanissetta. non avevano mai visitato Caltanissetta. sono rimasti basiti! Per la bellezza del centro storico, delle chiese, della storia di Caltanissetta. E lo racconto, l’ho raccontato al Sindaco, perché dico: “Per primi voi dovete credere in questa città, che ha tante potenzialità”. Sfruttare per es. la posizione geografica, che è unica, crocevia della Sicilia. Ma dovete crederci per primi voi!
Lei pensa che ce la possiamo fare?
Penso che i giovani vadano incoraggiati ad aprire attività in centro storico, fare movida, e soprattutto puntare molto sull’Università: i presidi universitari chiamano giovani e tutto l’indotto ne ricava giovamento. Poi fare in modo che questi giovani trovino il lavoro qui o comunque vicino a Caltanissetta. perché se emigrano i giovani una città che si svuota è un peccato.
Forse non potevo chiedere di meglio che andare in pensione da Caltanissetta, dove mi sono trovata accolta, benvoluta, io e tutta la mia famiglia. Mia figlia è innamorata di Caltanissetta, non vorrebbe andarsene; per accontentarla restiamo qui fino a giugno, le facciamo completare l’anno scolastico, la facciamo cresimare. Qui io, non solo in Questura, ma anche fuori, qui ho conosciuto gente veramente perbene, che non in tutte le realtà si trovano, gente legata ancora a dei valori etici, morali, a cui siamo legati noi siciliani. Io ho trovato questo e sono contenta che mia figlia si sia innamorata di Caltanissetta.


