Dal disagio alla prevenzione e alla cura: la mente è meravigliosa

Tonino Cala
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Nel 1978 veniva approvata e promulgata la legge 180, voluta dal noto psichiatra Franco Basaglia, sulla chiusura dei manicomi e la nascita di una psichiatria democratica e umanistica, denominata antipsichiatria per il suo carattere innovativo  che si opponeva al concetto violento e antidemocratico della istituzione manicomiale voluta dalla psichiatria tradizionale e dallo Stato di “diritto”.

Con la legge “Basaglia” nascevano i servizi territoriali psichiatrici che si dovevano occupare dei malati di mente e del disagio psichico per la prevenzione e per la cura dello stesso. A distanza di tantissimi anni, da semplici cittadini, che paghiamo le tasse per la copertura economica dei servizi sanitari erogati, ci chiediamo se ci sono e se funzionano i servizi di psichiatria per la prevenzione e per la cura del disagio mentale, sapendo che la legge 180, in tanti territori del nostro bel paese, spesso non è stata realizzata per le pigrizie burocratiche della sanità pubblica e per le colpevoli mancanze della politica, lasciando i malati e le loro famiglie in balia di una cronicizzazione patologica del disagio individuale e collettivo.

Capiamo benissimo l’importanza prioritaria di tali servizi in una realtà già deprivata culturalmente e socio-economicamente, quale quella del meridione d’Italia, dove il disagio si struttura e si radicalizza malignamente più che al nord della penisola.

Il mancato servizio o il cattivo funzionamento dei dipartimenti di psichiatria significano la mancata applicazione della legge Basaglia e la conseguente grave violazione dei diritti dei malati mentali, cittadini penalizzati già la prima volta per la loro condizione di malati psichiatrici e una seconda per l’assenza di uno Stato cinico, antidemocratico e illiberale che aveva ignobilmente deciso per la “morte sociale” del folle innominabile.

Franco Basaglia che era una personalità democratica, aperta e dialogante (politicamente liberale militò nel partito Sinistra Indipendente) fu molto consapevole, clinicamente e socialmente, che la malattia mentale esisteva e che la società, stigmatizzandola, l’aveva cronicizzata facendo del malato di mente un oggetto, un pacco, un essere non vivente da contenere e da recludere nello spazio folle, chiuso, autoritario e sadico del manicomio.

Uno spazio carcerario che violentava l’umanità dei malati di mente invece di curarli ed assisterli, con le loro famiglie e con le loro possibili relazioni sociali, causando una ferita drammatica al tessuto civile della convivenza.

Ne conseguiva una dura battaglia portata avanti dallo psichiatra veneziano, anche e soprattutto in chiave politica e culturale per ridare la “voce” e i “diritti” ai malati di mente, quale riconoscimento del loro status di esseri umani e di cittadini a pieno titolo nella società, normale applicazione dei principi costituzionali contro “la normalizzazione del contenimento detentivo” della psichiatria disumanizzante.

In fondo, Franco Basaglia aveva semplicemente riconosciuto il valore e l’identità soggettiva dei malati di mente, chiamando per singolo nome la loro umanità e facendo riacquistare loro una dignità che la perversione del potere politico e la società ottusa avevano disconosciuto.

In questo, il capovolgimento sovversivo e dissacrante di una visione umanizzante del pensiero basagliano che, paradossalmente, poneva l’attenzione sui diritti basilari e imprescindibili dei malati di mente, senza il riconoscimento dei quali la parola democrazia è parola vuota.

Una battaglia culturale, una battaglia politica per potere riaffermare i principi e i valori di una sana democrazia, dove la cittadinanza attiva può essere una pratica condivisa .

Tonino Calà

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