“Dignità del fine vita, accompagnare e prendersi cura” nel Convegno dell’Ordine dei Medici

redazione
redazione 228 Views
10 Min Leggere

Dignità del fine vita come interfaccia della dignità della vita, per tutti: questo il filo conduttore della due giorni promossa a Caltanissetta il 12 e 13 settembre dall’Ordine dei Medici presieduto da Giovanni D’Ippolito e dalla Diocesi, con un approccio multidisciplinare di grande interesse, che ha reso chiaro come questo tema non sia un fatto tecnico, per addetti ai lavori, ma chiami in causa tutto il sistema di vita della società contemporanea, l’etica e l’antropologia, le regole della quotidianità come la filosofia e la teologia, oltre, naturalmente, la deontologia dei professionisti della salute che si confrontano ogni giorno, drammaticamente, con l’esperienza concreta di questo passaggio.

Dopo la giornata di apertura presso l’Ordine dei Medici, con la Lectio Magistralis del dott. Filippo Anelli, Presidente nazionale dell’Ordine, e il saluto del Vicario generale mons. Onofrio Castelli, sabato 13, nell’Auditorium del Palazzo vescovile, si è dispiegato un dibattito che ha focalizzato la complessità dei nodi esistenziali e sociali che si intrecciano intorno al fine vita, con interventi di spessore scientifico ma capaci di comunicare a tutti, con un linguaggio accessibile, il ventaglio delle problematiche affrontate.

La dignità del fine vita chiama in causa la dignità della vita – ha esordito il Vescovo Mario nel suo saluto iniziale. – Quanto la vita che viviamo è davvero dignitosa? E c’è una terza dignità da tenere presente, a cui spesso noi vogliamo sfuggire, ed è la dignità del dolore. Anche il dolore ha una sua dignità”

In questo orizzonte totale che abbraccia l’esistenza delle persone e il contesto sociale in cui vivono, si è sviluppato il ragionamento collettivo sul tema e i suoi diversi aspetti, con una impostazione scientifica e giuridica, non ideologizzata, molto attenta a valorizzare l’umanità che deve essere insita nelle professioni sanitarie, a garantire che dignità e libertà viaggino insieme, senza distinzione di età, con il medico capace di accompagnare fino alla fine la persona, senza abbandonarla mai, anche quando chiede di morire.

È già l’ascolto un elemento fondamentale della cura, la presenza, il contatto, che “fanno sentire al malato che è ancora qualcuno e non solo qualcosa – come ha concluso il Presidente Anelli – sapendo che la cura non è un procedimento tecnico ma è una responsabilità collettiva”.

Sulla stessa lunghezza d’onda don Massimo Angelelli, direttore dell’Ufficio per la Pastorale della Salute della CEI, che ha inquadrato nel contesto mondiale il concetto di “vita degna di essere vissuta in rapporto alla voglia di guerra che circola oggi per il mondo, sapendo che dignità significa rispetto per la persona, persona che il codice deontologico dei sanitari, all’art. 1 definisce “una totalità unificata, il centro in cui si armonizzano le dimensioni biologiche e spirituali, etiche e bioetiche, culturali e relazionali, progettuali e ambientali dell’essere umano nel percorso della vita”-

La dignità si riconosce alla persona con il rispetto, e il rapporto tra dignità e rispetto si chiama relazione – ha scandito don Angelelli – perché la cura restituisce dignità all’altro; e bisogna distinguere il dolore fisico, che si può curare con i farmaci, dalla sofferenza, che è uno stato d’animo e che si cura soltanto con la relazione”.

La solitudine per questo diventa l’emergenza sociale più devastante, soprattutto in rapporto al fine vita, e l’accompagnamento, personalizzato, nella sua casa, del paziente, è una risposta positiva, che sia capace di attenuare la paura di morire, che sta diventando per molti, anche non malati, paura di vivere.

Si attende da troppo tempo una legge sul fine vita, finora trattato solo in alcune sentenze della Corte Costituzionale, di cui ha parlato la Presidente della Corte d’Appello Domenica Motta, rilevando come “il silenzio del legislatore sia stato per anni assordante sulle questioni della nascita e della morte delle persone”.

Libertà e autodeterminazione, sia del medico che del paziente, sono stati un altro filo conduttore del dibattito, come nell’intervento del notaio Giuseppe Pilato e dei medici Calogero Bellavia, Giuseppe Mulè e Girolamo Caudo.

Ha impreziosito i lavori della mattinata la lettura del racconto “Il bimbo di Marta” di Anna Mosca Pilato che ha trasfigurato poeticamente il tema del convegno esprimendo l’universo di emozioni che si scatenano intorno alla malattia.

La seconda parte della giornata ha accolto il contributo del mondo del giornalismo, al quale Giovanna Genovese ha rivendicato la responsabilità di promuovere l’innovazione anche nelle scelte politiche relative al fine vita, determinando la percezione collettiva sul problema e orientando l’opinione pubblica anche nell’uso di un linguaggio adeguato ai nuovi contesti, superando il sensazionalismo e gli stereotipi. “Morire con dignità non sia un privilegio per pochi ma un diritto per tutti” ha concluso.

Infine, una tavola rotonda a sei voci, moderata dalla giornalista Cinzia Daidone:Il dibattito pubblico sul fine vita: polarizzazioni e possibili punti di incontro”.

Non si può delegare tutto alla Corte Costituzionale – ha esordito il medico legale Vito Milisennanon possiamo essere governati da sentenze, ci vogliono regole e norme, sapendo che la dignità è anche un concetto mobile nel tempo e nei diversi contesti: al tempo di Aristotele era determinata dalla posizione sociale mentre oggi riguarda la persona in sé”.

Tre parole padre Alessandro Rovello, docente di Teologia morale ed Etica presso l’Istituto Teologico, ha voluto consegnare alla riflessione comune: “bene, libertà, giustizia, per ridefinire, sul piano della dignità, il concetto di persona che oggi vive una crisi profonda. È necessario tornare a pensare, come soggetti e come comunità”.

Le cure palliative, che richiedono figure specializzate oggi insufficienti in Sicilia, così come i posti negli hospice, sottodimensionati e sotto organico, sono state al centro degli altri interventi di Giuseppe Pastorello, presidente di “Noi per la salute-Tina Anselmi”, Adriana Malfitano, Consigliere dell’Ordine dei Medici di Agrigento, Giuseppe Misuraca, direttore del 118 e Giuseppe Pasqualetto, vice-presidente dell’ordine di Caltanissetta

Una riflessione che non può finire con la giornata di oggi – ha concluso il Vescovo al termine dei lavori – sulla dignità della persona e del dolore, sulla paura della morte dalla quale che vogliamo sfuggire. Rispetto, prendersi cura, come è scritto in Genesi, dove si dice che Dio creò un giardino simbolo della vita e lì pose l’uomo perché lo coltivasse e lo custodisse. Questi due verbi non indicano l’agricoltura quanto il servizio perché il verbo coltivare e custodire vuol dire servire e la vita ci chiede di essere servita. Nessuno di noi può disporre o dominare la vita, nessuno di noi si è dato la vita, nessuno di noi può imporre la vita ad altri, nessuno la può togliere, a se stesso o ad altri.

È un criminale, come alcuni dei protagonisti dei nostri giorni, chi toglie la vita ad altri, è un continuo ricatto all’umanità, pensando di dominare e schiacciare la vita altrui. Ma è criminale anche chi si ammanta di democrazia e non serve la vita altrui.

Questo verbo “servire” in ebraico indica anche il servizio di Dio che è la lode. Per cui servire la vita è celebrare una liturgia di lode a Dio, oserei dire che voi medici avete un compito straordinario perché voi siete i liturghi della vita, che crediate o no, ma voi celebrate la vita servendo la vita, attimo per attimo, fino all’ultimo respiro.

L’altro verbo, custodire, in realtà letteralmente significa prendersi cura. La vita ci chiede un servizio e una cura, ci chiede non solo di essere servitori ma di essere custodi, in quanto siamo chiamati a prenderci cura. Tant’è che in greco, nella Bibbia dei Settanta, questo verbo servire o prendersi cura si chiama terapèuein: la terapia è un servizio alla vita, è un prendersi cura. Voi medici avete un compito altissimo”.

Condividi Questo Articolo