Una retata di “colletti bianchi” in seguito alle indagini della Procura della Repubblica di Agrigento su un giro di tangenti legate al controllo di appalti pubblici: dopo i tredici indagati della settimana scorsa, nella rete degli inquirenti è finito anche un “pesce grosso”: l’on. Roberto Di Mauro, 69 anni, deputato regionale MPA, che fino ad un mese fa era assessore all’Energia, acque e rifiuti nel governo Schifani, è il 14° indagato di cui si ventilava il coinvolgimento sui media agrigentini, che avevano parlato nei giorni scorsi di un misterioso “Mister X”. Di Mauro è accusato di avere promosso e guidato una associazione a delinquere che influenzava il regolare svolgimento delle gare di appalto a vantaggio di imprese compiacenti.
Le indagini della magistratura hanno portato alla luce un “algoritmo” della corruzione, secondo il quale negli appalti per i lavori pubblici in diversi Comuni della provincia di Agrigento, Favara, Ravanusa e Licata, gli indagati avrebbero alterato la procedura omettendo la predisposizione di qualsiasi organizzazione di cantiere in attesa dell’erogazione della prima tranche di finanziamento e servendosi di subappalti non autorizzati. L’accusa è di concorso in turbativa d’asta e frode nelle pubbliche forniture.
L’inchiesta è scaturita da alcune segnalazioni dell’ANAC (l’Autorità anti-corruzione) sul mancato avvio di importanti opere pubbliche, come la rete idrica di Agrigento (37 milioni di euro) appalto aggiudicato a un consorzio di imprese privo dei requisiti tecnici ed economici necessari, con un’offerta con un ribasso superiore al 30%, giudicato inidoneo a garantire l’effettiva realizzazione dell’opera; o come il Centro di raccolta dei rifiuti di Ravanusa, opere finanziate per varie decine di milioni.
La maggior parte degli indagati sono funzionari pubblici, o, nel caso dell’on. Di Mauro, figure istituzionali: quattro gli imprenditori arrestati, insieme al dirigente dell’Ufficio tecnico del Comune di Licata, e nove gli indagati a piede libero, architetti, sindaci, dirigenti tecnici dei Comuni, accusati di avere messo a punto un sistema di alterazione delle gare per favorire imprese amiche, in cambio di tangenti.
Infatti, nel corso delle perquisizioni, secondo quanto reso noto dagli investigatori, oltre ai documenti, nel domicilio e nelle sedi aziendali di alcuni imprenditori di Favara, sono stati rinvenuti più di 200 mila euro che, secondo quanto captato nelle attività di intercettazione, erano utilizzati “per compensare in particolare alcuni pubblici ufficiali per i loro servigi”.
Quanto è avvenuto spiegherebbe oggi le misteriose dimissioni dell’on. Di Mauro da assessore regionale, qualche settimana fa, probabilmente per evitare un clamore mediatico amplificato dalla sua presenza nel Governo Schifani. L’assessore regionale alle acque, secondo gli inquirenti, agiva per favorire, dietro compenso, imprese prive di requisiti, proprio per un’opera pubblica importante, come la rete idrica di Agrigento, che rientrava nelle materie del suo assessorato.
C’è da sperare che “l’algoritmo” di Agrigento non sia l’unico archetipo utilizzato nelle istituzioni siciliane per la gestione del grande giro dell’economia legata agli appalti di opere pubbliche.