Il ribaltone tanto temuto della controrivoluzione lepenista non si è verificato.
La République tira un sospiro di sollievo e una marea umana felicitante invade le piazze, tutte unite nel segno dell’antifascismo, della lotta al precariato e per una società sempre di più aperta al multiculturalismo, tema che in Francia, negli ultimi tempi, è diventato il cavallo di Troia di una destra capace soltanto di strumentalizzare il disagio socio-economico delle classi operaie deindustrializzate, degli esclusi dalla rivoluzione tecno-digitale e della classe contadina, marginalizzata nelle aree interne da un potere economico che si concentra esclusivamente nelle città dove girano grossi capitali.
L’esito del secondo turno ha confermato la previsione offerta da queste colonne.
L’Assemblea Nazionale vedrà la sua composizione spalmata su due blocchi politicamente connotati, il Nuovo Fronte Popolare e il Rassemblement National, e un terzo di orientamento vagamente repubblicano suddiviso tra Ensemble, la formazione di Macron, e il gruppo gollista dei Repubblicani.
Al di là della Manica, i Laburisti hanno riportato una vittoria schiacciante sui Tories e Keir Starmer è diventato il primo ministro.
La Brexit ha, difatti, divorato i suoi figli. Tra i conservatori feriti mortalmente, Johnson, Rees-Mogg e Michael Gove non hanno raggiunto la Camera dei Comuni.
Gli scandali, la teoria di privatizzazioni del servizio pubblico, un welfare state ridotto al lumicino hanno convinto i Britannici, tradizionalmente restii al mutamento, a mandare a casa la cricca conservatrice.
Ora, si è già detto che il macronismo negli ultimi tempi si era sempre più connotato di soluzioni tipicamente conservatrici, sia per l’inseguimento senza tregua di Le Pen sia per recuperare il malcontento delle aree rurali e delle periferie urbane, abbandonate alla povertà e alla disoccupazione.
L’ammissione di aver troppo favorito le ambizioni illiberali del suo elettorato benestante ha concesso a Macron l’occasione di poter reggere di nuovo il mestolo.
E le desistenze lo hanno in parte premiato tra il malumore dei suoi, gettando tuttavia l’ombra dell’ingovernabilità sul Paese.
Infatti, il sistema politico francese preferisce il bipolarismo, reggendosi sostanzialmente sulla maggioranza assoluta di una forza politica dell’Assemblea Nazionale, perché il Presidente della Repubblica possa diventare il battitore libero dell’azione esecutiva, imponendo al Parlamento la propria agenda politica.
Così non sarà dopo il secondo turno di voto di domenica scorsa, perché la tripartizione dell’Assemblea Nazionale in tre parti politiche, ha posto la condizione che Macron ricerchi una maggioranza parlamentare per poter governare, dato che le urne non hanno offerto una precisa maggioranza.
In Gran Bretagna vige, invece, un sistema elettorale uninominale secco, il quale premia il partito che ha ricevuto più voti, affidandogli la guida del governo, in modo tale da non dover ricercare alleanze post-elettorali.
La sinistra francese e quella britannica seguono, perciò, dinamiche politiche diverse. E a farne le spese saranno i programmi avanzati della sinistra del Nuovo Fronte Popolare.
Macron già soffia sulle idiosincrasie reciproche dei leader della coalizione gauchista, perché il 24,5 % di Ensemble possa trovare un terreno fertile per attecchire.
La linea, a meno che non vi siano sorprese, propende per un cordone sanitario attorno al «terrorista» Mélenchon, colpevole di stare più dentro alle questioni sociali con uno sguardo radicale.
Il tentativo del macronismo di incistare la sinistra è, dunque, palesemente reale. Il centrismo resta come un retaggio da storicizzare e per nulla da perseguire nella prassi politica odierna.
Un’anomalia che nasce come un rimedio liberale alla sfiducia nei partiti tradizionali e che, nei paesi occidentali post-comunisti, ha spalancato, poi, il governo alle destre estreme e ha messo a repentaglio gli ecosistemi della sinistra.
Nell’Oltre Manica neppure si scorgono certezze a sinistra. Starmer rappresenta un compromesso tra moderatismo e radicalità.
Ma se il suo governo punta a terminare la legislatura, certo è che deve soppesare le istanze di progressione sociale ed evitare di ricalcare l’autoritarismo del suo predecessore che, sulle politiche migratorie, ha trovato anche l’opposizione della Chiesa Anglicana, un blocco non proprio del sol dell’avvenire.
E poi c’è l’incognita Corbyn, di cui Starmer non può fare a meno per non generare già una frattura con il pacifismo e l’ambientalismo.
Le elezioni francesi ed inglesi, in ultima analisi, danno più di un orientamento alla sinistra italiana.
Che il premierato è una riforma medievale, avvalorando così le tesi dell’opposizione contro un disegno di legge che di fatto promuove l’assolutismo di Stato.
Dalla Francia e dalla Gran Bretagna, i regni delle maggioranze assolute, dopo le ultime tornate elettorali, pervengono voci e riflessioni critiche, perché i Parlamenti abbiano più poteri legislativi e le leggi elettorali virino verso assemblee maggiormente rappresentative degli elettori.
E, poi, che la sinistra stia più tra le strade, tra le periferie e tra le campagne.
La radicalità si coltiva piuttosto per mezzo di una relazione conflittuale con il mondo nella sua completezza, a meno che non si voglia già cedere alla stampella rifomista.