HAMLET: LO SPECCHIO SCURO DELLA NOSTRA ALIENAZIONE

fiorellafalci
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Uno specchio inquietante, l’Hamlet machine con Liborio Natali di scena al Margherita, che rappresenta con dissacrante libertà di interpretazione tutte le contraddizioni e le ombre della nostra esistenza contemporanea, navigando nel caos calmo del testo e del contesto shakespeariano.

Al centro della scena un water, spoglio, illuminato, destinatario di tante deiezioni di heideggeriana memoria, punto di appoggio ed alter ego di una coscienza devastata dal rapporto con la violenza del potere, coscienza ambivalente, fluida ma sempre vigile, pronta a svestirsi e a rivestirsi di ruoli, di generi, di personalità in opposizione, in una scena scheletrica e mobile, con fogli di testo e specchi appesi ed oscillanti, come l’abito candido che distingue Hamlet da Ofelia, entrambi inseguiti dalle ombre dei padri, vittime e carnefici della loro innocenza.

Alienazione e solitudine sono l’identità e la prospettiva del protagonista, cesellate in tutte le sfaccettature dal talento interpretativo di Natali-Hamlet, che alla fine implora di essere lasciato “solo con la sua merda”, icona tragica di una umanità annichilita e rassicurata soltanto dalla parte peggiore di sé, unica produzione propria di cui non avere paura, anche senza nasconderne il ribrezzo.

È un pugno nello stomaco dei benpensanti questo Hamlet, da cui nessuno esce assolto, fino al finale del lancio di liquami incerti e colorati su uno schermo trasparente che li separa dal pubblico, ma non nasconde l’angoscia della nientificazione, a cui non possiamo sottrarci, inseguiti fin dentro il nostro inconscio da un interprete straordinario, che ci parla e ci scuote con le voci di dentro della nostra esistenza che non vogliamo vedere.

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