da Osservatorio Arte Contemporanea riceviamo e pubblichiamo:
Guadagnuolo ricorda il 2 novembre giorno dei defunti; la Sicilia di Camilleri, Sciascia e Bufalino, dimora di memorie e dialogo
Francesco Guadagnuolo compone un’opera transrealista che funziona come dispositivo di memoria scenografica: non è solo rappresentazione, è invito alla conversazione tra immagini e parole. Il quadro non si limita a ritrarre tre grandi scrittori, lo spazio diventa corpo narrante e la tela un teatro in cui il tempo si arresta il 2 novembre per rimettere insieme assenze e presenze.
Una tela che mette in scena un incontro impossibile eppure verosimile. La sua opera convoca tre voci siciliane – Andrea Camilleri, Leonardo Sciascia e Gesualdo Bufalino – e le dispone come se fossero ospiti su una scalinata che guarda una piazza e un cancello di camposanto. I luoghi evocati non sono copie topografiche ma segni metaforici: la scalinata è memoria che sale, il cancello è soglia tra il detto e il taciuto, la piazza e la lunga strada attorno sono il teatro civile, dove si misura il valore della memoria. Ovunque crisantemi e altri fiori attendono con pazienza. Guadagnuolo offre così non soltanto un ritratto di tre autori ma un dispositivo drammatico in cui i ricordi trovano casa il 2 novembre.
Parlano del 2 Novembre come di un rito di pane e memoria, di parenti invisibili che tornano a sedersi al tavolo della casa. Andrea ricorda il gusto del vino amaro e della risata che ferma il cuore, Leonardo conta i silenzi come si contano le pietre nei muri, Bufalino porta nel taschino una nota di lampada e di perdono.
Quando il dialogo sfiora la pelle della sera, i ricordi trovano casa: non più eco, non più nome disperso. Rimangono i fiori, la polvere, la pietra calda degli anni, e il quadro tace come chi ha ascoltato abbastanza per capire.
Sulla tela rimane il passo di tre ombre allineate, la promessa che ogni addio può riposare nella festa dei morti. E chi guarda trattiene il suo pianto come si trattiene un ramoscello, sapendo che lontano, sulla scalinata, qualcuno sta ancora parlando.
Analisi formale
La costruzione spaziale dell’opera transrealista privilegia la profondità prospettica della scalinata e la frontalità della piazza, creando un gioco di piani che guida lo sguardo dal particolare al collettivo. La tavolozza privilegia toni terrosi e accenti floralmente freddi: i crisantemi emergono come punti luce che spezzano l’omogeneità della terra e richiamano la cura e il lutto. Il gesto pittorico è misurato, tra realismo e metafora, con una tessitura che lascia intravedere la materia della pittura senza mai tradire la semplicità della scena.
Iconografia e simbolismo
La scalinata agisce come metafora verticale della memoria, un salire che è insieme accumulo e stratificazione di ricordi. Il cancello del camposanto è soglia e limite, portale che separa la conversazione domestica dal silenzio irrimediabile della morte. La piazza amplia la scena al sociale: la memoria qui non è rintocco privato ma atto collettivo. I fiori, soprattutto i crisantemi, non soltanto decorano ma testimoniano cura, rituale e il tempo della rimembranza.
Voce narrativa e drammaturgia
Guadagnuolo organizza la tela come dialogo scenico: i tre autori diventano figure-dialoganti più che ritratti. Andréa Camilleri, Leonardo Sciascia e Gesualdo Bufalino sono marcatori di voci letterarie che si sovrappongono senza perdere identità, permettendo alla memoria di farsi pluralità critica. La scena suggerisce un equilibrio tra narrazione consolatoria e sguardo analitico: la pietà conviviale coesiste con l’esigenza di verità pubblica.
Andrea Camilleri: Questa scalinata sa di sale e di parole lasciate a metà. Il 2 novembre si siede qui la gente e rimbalza i ricordi come palline nel vicolo.
Leonardo Sciascia: La scalinata misura l’ordine delle cose. Qui la memoria diventa processo pubblico. Le assenze vengono pesate, non solo ricordate.
Gesualdo Bufalino: I fiori non verbalizzano giudizi. I crisantemi dicono soltanto che qualcosa è stato voluto bene e poi lasciato andare.
Andrea: Si parla tanto, questa sera. Si raccontano aneddoti che rassicurano e qualche colpa che si nasconde sotto il tovagliolo. La festa è insieme consolazione ed espiazione.
Sciascia: Attento alle consolazioni che nascondono interessi. In Sicilia la memoria viene spesso piegata per tenere insieme poteri e famiglie. Raccontare può significare anche omettere.
Bufalino: Eppure la pietà è un gesto semplice. Mettere un piatto in più, lasciare una sedia vuota: sono voti senza retorica che mantengono vivi i nomi.
Andrea: Il cancello del camposanto oggi si apre piano. Dentro ci sono storie che sembrano sussurrare. Fuori il mercato è indifferente, ma dentro la voce si fa verità.
Sciascia: La verità richiede coraggio. Separare il racconto comodo dal fatto è un dovere morale, non solo letterario.
Bufalino: Io dico che bisogna ascoltare con pietà. Ci sono ricordi che non chiedono ragioni, solo un posto dove posare la fatica dell’addio.
Andrea: Raccontiamo allora. Raccontiamo con voce bassa come si confida ad un vecchio amico, perché il pianto non si perda nella piazza.
Sciascia: Raccontiamo con ordine, senza lasciarci ingannare dalle storie facili.
Bufalino: Raccontiamo con tenerezza, perché ogni ricordo è una piccola ferita che cerca riparo.
Andrea: Quando il dialogo svanisce, la piazza resta piena di fiori. I gradini conservano i segni delle parole dette. Domani altri verranno e le storie continueranno a trovare casa.
Lettura emotiva e civile
L’opera transrealista di Guadagnuolo funziona su due registri: intimo ed etico. Sul piano emotivo produce quella quieta commozione che si prova davanti ai riti che mantengono vivi i nomi; sul piano civile sollecita la responsabilità del ricordare in pubblico. Guadagnuolo non edulcora la memoria, non la mitizza: la mostra come compito, gesto quotidiano e politico insieme.
Conclusione
Il quadro è un atto di mediazione tra l’assenza e la comunità che la ospita, un invito a sedersi sulla scalinata della memoria per ascoltare e interrogare. Francesco Guadagnuolo consegna così un’opera che è insieme rito pittorico e riflessione civile, capace di trasformare il 2 novembre in tempo di presenza e responsabilità.


