IL PALCO DI BOLOGNA E I 5 STELLE NEL “LEFT” IN EUROPA

Andrea Alcamisi
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Si respirava l’aria di forte intesa nel congedo del palco bolognese della Festa Nazionale dell’Anpi. Una chiamata «all’opposizione» senza fronzoli, ma chiara nel percorso politico da intraprendere senza tentennamenti o fatali distrazioni.

Perché, in un tempo in cui la prassi di una politica che offre di più e che pensa di meno ha rinunciato alla riflessione per i valori, ritenuti troppo divisivi per un radicamento più sostanziale, quel saluto, che ha chiuso i lavori dell’Anpi Nazionale, ha segnato, invece, la conclusione dell’era della liquidità ideologica.

Così, è accaduto che l’aria bolognese sortisse per il Movimento Cinque Stelle una mossa del cavallo nello scacchiere delle alleanze europee.

La transizione del Movimento nella famiglia europea «The Left», che riunisce i partiti socialisti e comunisti nel segno dell’anticapitalismo, sottolinea certamente una cesura con la stagione politica infausta sotto la regia delle brame razziste di Salvini, ma anche una conferma della ristrutturazione del sistema politico occidentale in senso bipolare, che per il Movimento può diventare l’occasione di abbandonare definitivamente il grillismo qualunquista e di strutturarsi piuttosto come un partito critico verso le politiche economiche occidentali di impianto rigorista.

E, soprattutto, di mettere in soffitta la cantilena démodé del «né a destra né a sinistra», se non si vuol fare la fine di Macron o del duo Calenda-Renzi.

In effetti, l’adagio capitalistico del fallimento delle teorie socialiste, all’indomani dell’abbattimento del Muro di Berlino, da buon epigono della filosofia gramsciana, pur avendo modo di imporre la propria egemonia culturale, convincendo della necessità di spazzare l’annosa dicotomia di discriminare, per mezzo di una riga, chi fosse per i ricchi e chi per i poveri, sta per intonare il proprio de profundis.

E se, nell’ovunque europeo, nacquero così nuove formazioni politiche, ma già condite dal sapore reazionario, che, ripetendo il mantra del tramonto dei posizionamenti, agevolavano le ricette neoliberiste, austerità per i popoli e arricchimento per i mercati, la contestazione popolare delle piazze contemporanee invoca più politiche coraggiose. Potere per tutti, questo reclamano gli esiti elettorali odierni.

La sinistra è sembrata vacillare tra una strizzata di occhi al populismo dilagante e uno sguardo al suo potere trasformativo, sempre nel perdurante tentativo di ridefinirsi di volta in volta, come effetto immediato delle débâcle elettorali, riformista, progressista, democratica.

Ma le crisi economiche, le alterazioni climatiche, le povertà e i conflitti rappresentano oggi i punti di intersezione di una retta che, prima ancora di definire uno scopo esclusivamente elettorale, assegni alla sinistra un destino di lotta.

Il palco di Bologna, come le urne delle recenti elezioni europee e come la resa dei conti francese, consegna all’opposizione non soltanto la responsabilità di costruire una alternativa parlamentare, che nei temi più incisivi per l’organizzazione sociale e politica del Paese si è già coagulata, quanto piuttosto la concreta possibilità di fabbricare una nuova società, non più addolcendo il conflitto sociale con la promessa di blandi correttivi, ma fornendo i mezzi di emancipazione a quel mondo che contesta la riduzione di potere e che la destra infantilizza.

Le conseguenze di una siffatta manovra potrebbero essere del tutto positive per il fronte della sinistra italiana.

Un blocco netto sui temi cruciali dell’economia, del lavoro, della sanità e dell’istruzione, senza, però, generare il solito ritornello della forza politica più adatta a condurre il gioco degli equilibri. Orizzontalmente si vince meglio e la società ringrazia.

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