Il potere sovversivo della letteratura. Leggere pericolosamente di Azar Nafisi

Andrea Alcamisi
Andrea Alcamisi 297 Views
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In tempi così mesti la scrittura non deve rinunciare alla grande ambizione di ricercare la verità, di mettere in guardia dalle ingiustizie e di svelare gli inganni. Un compito ingrato, oneroso e, senza dubbio, sporco per chi ha compreso che le parole possono diventare come la sabbia gettata sulla ferraglia  di un motore  al  fine di incepparlo. 

Scrivere  è, dunque, pericoloso.  Lo è  senz’altro  la lettura, nella prospettiva di un cambiamento di comportamenti acquisiti o per noia o per paura.

Scrivere e leggere si pongono, quindi, in un rapporto dialettico efficace, a patto che l’esito non indirizzi   verso   un   porto   consolatorio   che   conforti   l’inquietudine   o   che   confermi   pregiudizi   e opinioni.

È la voce possente di Azar Nafisi, docente universitaria di letteratura anglosassone di origine iraniana, a raccontare come le lettere, infatti, se si tramutano in specchio per le società verso cui si rivolgono, agiscono da fertilizzante per le coscienze. 

Leggere pericolosamente, sua ultima fatica tradotta da Anna Rusconi per i tipi di Adelphi, invita, perciò, ad un impegno immediato non solo come lettori attenti sui problemi sociali della contemporaneità, tali da tradursi inevitabilmente in interrogativi politici, ma anche come spiriti inquieti che ritrovano nella scrittura e nella lettura il tempo di ricomporre sé stessi di fronte alle cesure del male.

È la stessa autrice ad accompagnare verso la corretta interpretazione del proprio scritto, informando più volte, nel corso della trattazione, come, ad esempio, nella lingua araba, parola e ferita derivino dalla medesima radice etimologica, giacché una parola, se ben affilata sul tornio della verità, squarcia costruzioni e proiezioni inventate, come pallide coperte di carta velina, a vantaggio di chi ha del tutto da guadagnare dall’oppressione altrui in ogni sua manifestazione possibile.

Per questo motivo, leggere con lucidità eretica e scrivere con   piglio   antidogmatico,   sotto   un   potere   assoluto   o   in   una   democrazia   accettabile,   restano   le attività che dicono quanto si è disposti a rischiare per una vita autentica. Nafisi, per esempio, ha scelto  di non tacere  dinanzi  agli  abusi della  teocrazia  iraniana  e ha pagato  la  propria parresia, avendo imboccato la via dell’esilio verso Washington.

Una condizione che si è palesata obbligatoria per  l’autrice  per  non tradire,  innanzitutto,  l’umore  laico  della  famiglia  di origine;  poi, per non immiserire, con un velo di ipocrisia, il proprio mestiere di docenza e, infine, per testimoniare, al netto dell’angoscia delle torture e del dolore dell’incarcerazione, la speranza di avviare una piccola rivoluzione   culturale   tesa   al   mutamento   di   uno   stile   di   vita,   non   per   questo   esclusivamente ascrivibile al contesto iraniano, che nel suo mutismo avvalora il più delle volte la sottomissione o, nel suo ammiccamento, si propone suo compiacente.

Perciò, il saggio dell’autrice, forte di questa ardua incombenza, opta per una struttura non di certo peculiare al genere argomentativo. Nafisi indica,   infatti,   cinque   percorsi   di   lettura,   attingendo   ad   alcune   opere,   da   costei   ritenute paradigmatiche   per   i   temi   che   intende   mettere   a   nudo,   di   scrittori   e   di   scrittrici   classici   e contemporanei.  

I  suggerimenti   dell’autrice   si   dipanano   sotto   la   forma   di   cinque   lunghe   lettere, composte durante la pandemia e destinate al padre Ahmad Nafisi, ex sindaco di Teheran, oppositore del regime degli ayatollah e morto da tempo al momento della stesura di esse. Questo espediente narrativo,   che   si   misura   con   le   tecniche   introspettive   dell’epistolografia,   concede   all’autrice   di navigare in più spazi temporali, senza rinunciare alla volontà precipua di intercettare un dialogo sincero   con   il   lettore,   dove   una   lettura   consigliata,   che   superficialmente   potrebbe   essere   dirsi conclusa nel tempo della sua definizione, si offre, invece, come mezzo per esplorare il presente.

Le lettere narrative letterarie di Nafisi, non sono, perciò, tanto distanti dagli scopi della prosa filosofica occidentale volta a scandagliare la complessità dell’animo umano, sospeso tra azione e indecisione.

E, sullo sfondo dei temi di volta in volta commentati, l’autrice sapientemente  colloca gli spunti sociali e politici, emersi dall’approfondimento letterario, sul piano delle vicende storiche   dell’umanità,   evitando   uno   scollamento   dalla   realtà.  

Molto   significativo,   in   questa direzione, è la proposta di lettura che spinge ad immedesimarsi nelle spire di violenza suscitate dal conflitto israelo-palestinese, per mezzo del confronto di due grandi autori di quell’area geografica, l’israeliano David Grossman e il libanese Elias Khoury.

La conclusione non è affatto edulcorata: popoli   spinti   all’odio   reciproco   attraverso   una   spietata   educazione   alla   disumanizzazione   delle persone,   tale   da   non   risparmiare   oppressi   né   oppressori.   Tutti,   alla   fine,   sono   travolti   dalla sofferenza in questo conflitto sempre più esistenziale che geo-politico.

Ma è possibile inceppare il motore   della   virulenza,   come   scrive   l’autrice   nel   citare   gli   scrittori   mediorientali   consigliati, disimparando a guardare con gli occhi che il nemico desidera di voler incrociare. Non resta, perciò, che lasciarsi coinvolgere dal percorso originale che Azar Nafisi ha tracciato nel proprio saggio, perché ogni lettore viva in libertà e in autonomia il proprio tempo.

Bisogna, in qualche modo, far suppurare le  ferite  che  le parole,  quelle  dettate  dal  cuore e dall’intelligenza,  hanno ingenerato, affinché esse liberino il pus di una pigrizia cognitiva, amica del potere e madre dell’ignoranza.

Essere sovversivi non è cosa così malvagia, oggi.

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