Il Presepe vivente agli Angeli, luogo dell’anima

Francesco Daniele Miceli
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Negli ultimi trent’anni, a Caltanissetta, il Natale ha avuto molti luoghi dell’anima. Spazi che, anno dopo anno, hanno saputo trasformarsi in memoria collettiva. 

Indimenticabile resta il presepe monumentale a grandezza naturale, curato in ogni dettaglio, allestito alla Villa Cordova: per molti è oggi un lontanissimo ricordo d’infanzia, una fotografia ingiallita. Poi venne il tempo del presepe vivente di Santa Barbara, che segnò una nuova stagione di partecipazione e racconto.

Oggi, alla sua quindicesima edizione, è il Presepe Vivente agli Angeli a rappresentare una tradizione ormai irrinunciabile. Sorge nel quartiere più antico della città, un luogo che è già di per sé racconto: un dedalo di stradine piccole, raccolte, cariche di storia. Qui il presepe non si guarda ma si attraversa.

L’itinerario è curato con attenzione: soldati romani presidiano la piazza, venditori animano le botteghe, pastori camminano tra la gente, gli animali completano il quadro. È un’esperienza immersiva, nata quindici anni fa dalla parrocchia e cresciuta nel tempo grazie alla guida di tre sacerdoti che ne hanno accompagnato il cammino: padre Antonino Lo Vetere, padre Alessandro Rovello e oggi padre Giuseppe Di Rocco.

Questo presepe è davvero l’espressione di un quartiere. Intere famiglie si ritrovano sotto lo stesso progetto, condividendo tempo, passione e identità. Anno dopo anno, l’allestimento si è fatto sempre più attento ai dettagli, fino a diventare un originale intreccio di stili e abiti: elementi palestinesi si mescolano naturalmente a quelli siciliani, come accade nei presepi. 

E così, accanto alla stalla, compaiono scritte in siciliano: u sartu, i ciciri, i linticchi, a stadda. È una confusione solo apparente, quella tipica del presepe, dove epoche diverse convivono senza stonare. Una chitarra accompagna il canto di una donna che intona le novene di Natale, a pochi passi dal cuore della scena.

La stalla stessa diventa simbolo di comunità. All’apertura, San Giuseppe aveva il volto di Corrado Sillitti, accanto a lui sua moglie Ileana, la figlia Clara nei panni di un angioletto e il piccolo Fernando, battezzato in parrocchia solo pochi giorni prima. 

Come in ogni presepe vivente che si rispetti, non mancano gli assaggi: il pane caldo, le lenticchie, la ricotta. 

Questo presepe, forse, in futuro potrebbe crescere ancora, allargarsi, scendere verso il castello, coinvolgendo un intero quartiere che oggi versa in uno stato di abbandono ma che potrebbe tornare a splendere proprio partendo da qui. Perché questo è il quartiere più antico della città, con secoli di storia alle spalle: lo scenario perfetto per una Betlemme anno zero. E allora, quando le luci si abbassano e il quartiere torna lentamente al suo silenzio, resta la sensazione che qualcosa sia accaduto davvero. Non solo una rappresentazione, ma un rito collettivo. Per qualche sera, tra quelle pietre antiche, il tempo si è fermato e Caltanissetta ha ricordato sé stessa. Perché il Natale, qui agli Angeli, non è solo una scena da osservare, ma una storia da abitare. E mentre la stella continua a brillare sopra la capanna, sembra dirci che da questo quartiere — il più antico, il più ferito, il più vero — può ancora nascere luce.

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