Il racconto dipinto che sorregge la Cattedrale

Francesco Daniele Miceli
7 Min Leggere

Pochissimi giorni ancora, e saranno svelati i nuovi affreschi della Cattedrale di Caltanissetta.
Ma prima che i colori freschi si mostrino alla città e al futuro, è doveroso chiudere questo viaggio dentro il cuore del Borremans. La terza e ultima tappa. Dopo aver sollevato lo sguardo alla volta e contemplato Angeli, Madonne, Santi, Apostoli e Martiri, oggi lo abbassiamo, anche solo di qualche metro, per scoprire la grande storia della Bibbia, che scorre come un fiume lungo gli archi che sorreggono il tempio: storie dell’Antico Testamento, pilastri di fede che sorreggono idealmente anche le vicende dei santi narrate sopra.

Ed è così che, idealmente, entriamo in Cattedrale. Ci muoviamo come in un girotondo: a destra dall’ingresso verso l’altare, poi a sinistra, dall’altare verso l’uscita. Ci fermiamo, arco per arco.

Abramo appare per primo, patriarca e padre di popoli, raccontato nei momenti più alti e più umani: Rebecca che disseta i cammelli, il suo incontro con il faraone, la prova suprema del sacrificio di Isacco, la vocazione che lo chiama alla fede, l’angelo che indica ad Agar il pozzo della vita, la benedizione con Melchisedek, l’ospitalità ai tre misteriosi viandanti, il dialogo con il fedele servo Eliezer. Ogni scena lo mostra fragile e forte, uomo e credente.

Poi è la volta di Giacobbe, il patriarca che piange e lotta. Lo vediamo in pianto per il destino dei figli, stringere il cuore quando Beniamino parte per l’Egitto, osservare la tunica insanguinata di Giuseppe, affrontare la lotta con Dio che segna la sua vita, sognare la scala che unisce cielo e terra. È benedetto da Isacco, si riconcilia con Esaù, riposa su una pietra che diventa altare, si arricchisce di greggi maculati. È un cammino tra dolore e promessa.

E Giuseppe, il sognatore, vive davanti ai nostri occhi tutta la parabola di un destino ribaltato: i sogni profetici rivelati ai fratelli, l’invidia che lo porta ad essere venduto, l’ascesa alla corte di Putifar, la sua fedeltà che lo conduce in carcere, la capacità di interpretare i sogni del faraone, fino al momento più toccante: il riconoscersi davanti ai fratelli e l’abbraccio con Giacobbe. Un cammino che trasforma il tradimento in salvezza.

Con Mosè si entra nel cuore dell’Esodo: salvato dalle acque, scelto davanti al roveto ardente, investito del potere taumaturgico, si presenta al faraone, riceve la legge sul Sinai e scende dal monte con le tavole. Non è solo un uomo, ma il mediatore tra Dio e il popolo, guida che parla ancora oggi.

Dove un tempo c’era l’organo, lo spazio ridotto consente solo due riquadri per due minuscole storie: Giaele e Albimelech. Siamo nel libro dei giudici, e la prima uccise il generale nemico Sisara piantandogli un piolo nella tempia, liberando così Israele, il secondo figlio di Gedeone, re violento e ambizioso che finì ucciso da una donna che gli gettò una macina sulla testa.

Ester porta la luce femminile della regina coraggiosa: la vediamo nei dialoghi con Mardocheo, nello svenimento davanti al re, nella supplica per il suo popolo, nell’inganno sventato, fino all’esaltazione di Mardocheo. Le sue vicende raccontano la fede che diventa salvezza.

Davide giovane, prima di diventare re, trionfa sul gigante Golia. Ma il ciclo mostra anche i momenti privati: pascola il gregge, taglia il mantello a Saul, si difende dalla sua ira, riceve la profezia di Natan. Poi l’eroe che alza la testa del gigante sconfitto. Una vita che si muove tra coraggio, cadute e riscatti.

Sul lato sinistro, la storia ricomincia con Sansone, eroe dalla forza straordinaria. Annunciato ai suoi genitori, squarcia il leone e trova miele nel suo ventre, porta le porte della città di Gaza come fossero piume, lega fiaccole alle volpi, ma finisce accecato. Le sue gesta eroiche e tragiche parlano di un dono che diventa condanna.

Segue Saul, il primo re d’Israele, unto da Samuele e incoronato davanti al popolo. Lo vediamo rimproverato dal profeta, segnato dalla morte del sacerdote Eli, e nella notte misteriosa in cui si rivolge alla pitonessa di Endor. La sua parabola è quella di un potere fragile e destinato a crollare.

Poi Davide, ormai re. È il Davide che piange il figlio malato, che si confronta con Betsabea, che fugge insultato da Simei, che vive il dolore per la morte di Assalonne. È un re umano, che conosce la gloria e la tragedia, che sbaglia ma sa anche chiedere perdono.

Salomone appare sapiente e sontuoso: sogna, giudica, approva il tempio, si inginocchia davanti all’arca. Ma lo vediamo anche accecato dagli idoli, un re che passa dalla gloria alla caduta, esempio di come anche la sapienza rischi di piegarsi alla debolezza.

Tobia porta il respiro familiare di una storia intima: l’amore per Sara, la stanza nuziale, il riconoscimento da parte del suocero, la missione affidata al figlio. Una vicenda domestica e tenera.

E poi Giobbe, il sofferente. Lo incontriamo sul letamaio, accusato dagli amici, colpito da satana, depredato dei beni e dei figli, schernito dalla moglie, fino alla sua reintegrazione. La sua figura resta il simbolo della fede che resiste alle prove.

Chiude il ciclo Giuditta, la donna che salva il suo popolo con coraggio e intelligenza. La vediamo entrare nella tenda di Oloferne, pregare, ideare il suo piano, mozzargli la testa, mostrarla agli Israeliti, ricevere il ringraziamento del sacerdote Ioakim. È la vittoria della fede contro la tirannia, di una donna che diventa eroina di tutto un popolo.

Tutto questo racconto – che oggi abbiamo riletto grazie alle pagine preziose che don Rosario Salvaggio ha lasciato in dono alla città – ci restituisce la forza di un’arte che non è semplice ornamento, ma parola dipinta. Cosa ci sveleranno i nuovi affreschi lo sapremo solo tra qualche giorno. Ma intanto, dentro questi archi, continua a vivere il sogno antico del Borremans: milioni di pennellate che non hanno mai smesso di raccontare la fede, la storia, la vita.

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