Attesa e ambita nuova ascesa di uno storico edificio che dai primi anni del’800 ospitò uno dei gangli principali dell’Amministrazione Borbonica e poi del Regno d’Italia.
Ci sono delle amicizie che si rivelano come un legame invisibile fra persone che, per ragioni del loro lavoro e per i pertinenti impegni, si incontrano di rado ma che rimangono legate in modo profondo e silenzioso, come un filo che unisce le comuni affinità, curiosità, attinenze. Noi abbiamo la fortuna di nutrirne alcune. Una di queste si è manifestata una sera con l’invito a visitare uno dei palazzi storici della nostra città: il palazzo nobiliare che ospitò il primo Intendente (l’odierno Prefetto) della neocostituita città Capovalle.
La figura dell’Intendente a Caltanissetta venne creata con la riorganizzazione amministrativa borbonica del Regno delle Due Sicilie. Caltanissetta viene eretta a città Capoluogo di una delle sette Valli minori (province) siciliane, istituite a seguito della legge sull’amministrazione civile del 12 dicembre 1816, estesa all’Isola con il Regio Decreto n.932 dell’11 ottobre 1817 e decorrente dal 1° gennaio 1818.
Nel 1812, con la promulgazione della nuova costituzione siciliana – su impulso delle forze inglesi presenti in Sicilia in funzione antinapoleonica – la feudalità viene abolita in tutta l’Isola. Le vecchie comarche vengono sostituite da ventitré distretti, ciascuno facente capo a un “Capoluogo” scelto tra «le popolazioni più cospicue e più favorite dalle circostanze locali».
Caltanissetta, nonostante il passato feudale, diviene Capoluogo di Distretto per opera di Mauro Tumminelli, autore del progetto di ripartizione della Sicilia in sette Valli minori. Grazie a Filippo Benintende, vicino alla Corte di Ferdinando di Borbone, diventa anche sede di Intendenza per gli affari amministrativi (Prefettura ante litteram), nonché sede del Comando Militare con potere su tutti i comuni della Valle.
Le doti e le competenze di Filippo Benintende sono tenute in alta considerazione dalla Corona borbonica. L’acume politico, la capacità di mediazione e la competenza giuridica attirano l’attenzione del Governo di Napoli e il suo Presidente del Consiglio Luigi dè Medici lo nomina nel 1819 Magistrato della Gran Corte Criminale di Caltanissetta appena istituita.
E’ soltanto il primo passo verso l’affermazione della città nissena come centro principale dell’entroterra siciliano. Di fatto è un’inedita provincia interna, costituita da tre distretti (Caltanissetta, Piazza, non ancora Armerina, e Terranova, non ancora Gela) e ventotto comuni.
Il nuovo ruolo di città Capovalle implica la presenza di nuovi organi istituzionali. La riforma del 1817 prevede che le città Capovalle siano anche Capoluogo di Reale Intendenza, e quindi sede dell’Intendente e del Consiglio d’Intendenza. Alla Intendenza è strettamente correlato il Consiglio Provinciale presieduto dall’Intendente stesso e costituito da quindici membri. Viene altresì creato un Archivio Provinciale. L’altra novità è l’istituzione dell’ente Comune, al vertice del quale vi è un sindaco coadiuvato dal primo eletto e dal secondo eletto. Il Sindaco presiede il decurionato, analogo all’odierno Consiglio Comunale.
Primo Intendente di Caltanissetta viene nominato Antonino di San Giuliano, nobile, appartenente a una delle più illustri famiglie siciliane. Un suo discendente e suo omonimo sarà Ministro degli Esteri del Regno d’Italia nei primi anni Dieci del Novecento.
Alla sua nomina si trova obbligato a “ideare” l’intero Ufficio, ad iniziare dall’individuare una sede adeguata alla nuova Istituzione. Viene proposto l’antico palazzo Moncada. L’immobile però è in parte incompleto e non offre le necessarie condizioni per l’uso. La scelta ricade su un edificio in quel momento di proprietà dei notabili Filippo Neri ed Emanuela Giannotta. Intorno alla metà del 1800 viene acquistato da Guglielmo Luigi Lanzirotti barone di Ganigazzeni (feudo in seguito denominato Canicassè).
E’ proprio per quel sottile ma forte filo cui abbiamo fatto cenno che ci ritroviamo grazie all’amicizia con Titty Benintende, discendente della famiglia Benintende-Lanzirotti, oggi proprietaria dell’immobile – un sabato mattina liberi da impegni – a varcare la soglia dell’antico palazzo della prima Intendenza di Caltanissetta.
L’ingresso dà sulla piazzetta percorsa dalla via intitolata al barone Lanzirotti. L’edificio, dopo la nuova dislocazione, nei primi del Novecento, della Prefettura presso il nuovo Palazzo della Provincia in viale Regina Margherita, diventa sede della Intendenza di Finanza. Dopo il trasferimento della stessa in altro apposito edificio, sino alla fine degli anni Sessanta del Novecento è sede del plesso scolastico dal 1970 confluito prima nell’odierna scuola media “Giovanni Verga” e successivamente nella, di pari grado, “Filippo Cordova”. Da lì in poi l’immobile per circa un ventennio – dal 1978 al 1998 – subisce gli effetti del disuso. Sfiora la speculazione edilizia, rimane vittima di alcuni interventi eseguiti con diversa, se non assente, sensibilità conservativa rispetto all’attuale. Vengono asportati arredi e finimenti. Ritornato in piena proprietà della nostra amica, eseguiti lavori di riordino e ripristino, vi trova sede la caserma alloggi delle forze di Polizia di stanza a Caltanissetta. Chiuso questo rapporto, grazie alla instancabile opera di recupero, non solo edilizio, ma storico-culturale è prossimo a ritrovare un degno stato consono alla importante storia dell’immobile.
Il valore storico del palazzo è più grande di quanto si possa pensare. Nelle sue stanze nel 1847 vi soggiornò re Ferdinando II di Borbone, in occasione della sua visita alla città. Con lui il Conte Trapani che lo accompagnava per l’occasione. L’anno appresso, il turbolento 1848, vi trovò residenza il generale Carlo Filangieri, principe di Satriano, inviato dal governo di Napoli per sedare la rivolta.
Visitando le stanze ai piani del palazzo ci sentiamo immersi nel passato della città che amiamo. La nostra amica ci accompagna in quella parte che fu l’appartamento del primo Intendente, con i passaggi “privati” che consentivano di lasciare l’edificio da un diverso ingresso rispetto a quello principale. Contempliamo quelli che ai più potrebbero sembrare dei documenti datati, consumati dal tempo, delicati ed ingialliti ma che con condivisa emozione lei definisce “Fogli ed inchiostri che hanno ancora un’anima e fanno da guida al buio.”
Suggestiva la descrizione dall’esterno della porzione che, prima della edificazione del teatro Regina Margherita, ospitava parte della platea e dei palchi di un piccolo emiciclo teatrale dove avevano luogo spettacoli e rappresentazioni.
Negli anni del disuso l’ambiente è stato “assorbito” dai locali di una vecchia tipografia.
Procediamo salendo lo scalone sotto la luce del cielo che sopra di noi si staglia al riparo di uno splendido grande lucernario che fa da tetto. Le camere, gli uffici, le stanze riservate al personale a servizio, anche se nella configurazione attuale, ci lasciano immaginare la vita frenetica che doveva animare quella Amministrazione di nuova istituzione, che per la prima volta aveva fatto ingresso nella divenuta città più in vista di quell’interno dell’Isola sino ad allora poco conosciuto e poco frequentato.
La disposizione delle finestre e dei balconi, lasciati nell’ordine originario, ci offrono una vista a 360° gradi sulla città. Dalla cupola della Cattedrale, alle guglie della Rettoria di San Sebastiano, alla collina di Sant’Anna con il convento benedettino dell’attuale chiesa di Santa Flavia, per continuare con la vista sui tetti in coppo siciliano che si stendono sino ai bastioni della chiesa di Santa Maria della Grazia.
Affacciandosi sullo slargo voluto, come leggiamo sui preziosi e delicati fogli dell’originario atto notarile, “per la cavallarizza” (carrozze e cavalli), notiamo il pregiato frontone di ingresso, con l’antico portale del ‘700, che è stato mantenuto arretrando una parte contigua al dirimpettaio altro palazzo di famiglia (Benintende).
Il luogo trasuda importante storia cittadina, mantenendo il fascino dell’antico splendore, seppure nella avventata non curanza di cui soffrono oggi i centri storici della gran parte delle città siciliane. La nostra amica ci mostra altre pagine, rogiti, appunti, cimeli della storia del luogo e dell’edificio che ci lasciano ammaliati per la rarità e per l’unicità della opportunità di poterli esaminare.
Sono atti, forme e modi che si appartengono ad altro tempo.
E il tempo corre veloce.
Ci congediamo ripromettendoci un’altra visita e un’altra passeggiata nella storia.
A noi resta il ricordo dei mobili antichi di famiglia, recuperati alla loro originaria luce, dei ritratti, delle cornici, dei preziosi arazzi, di quei piccoli (in apparenza) dettagli che – proprio perché non ostentati – mostrano il garbo e la finezza oggi (forse) dai più non compresi né conosciuti.
P.S.
La consultazione degli atti e della documentazione di cui al testo e allegata in immagini, compreso il ritratto del barone Lanzirotti, ci è stata gentilmente concessa dalla cara amica Titty Benintende e dal di lei cugino Mauro Benintende, entrambi suoi discendenti.










